Luigi Di Ruscio / Poeti Internazionali

da Non possiamo abituarci a morire (1953)

Sono senza lavoro da anni
e mi diverto a leggere tutti i manifesti
forse sono l’unico che li ragiona tutti
per perdere il tempo che non mi costa nulla
e perché sono nato non sta scritto in nessuna stella
neppure dio lo ricorda.
Gioco alla sisal
e ragiono sulla famosa catena
ma ormai poco mi lascia sperare ai miracoli
sarebbe meglio berli
i soldi che gioco per sperare un poco.
Tutti i giorni vado all’ufficio del lavoro
ed oggi vi erano due donne a riportare il libretto
ma le hanno consolate
gli hanno detto che per loro è più facile
potranno sempre trovare un posto da serve.
Poi sono rimasto sino alla sera ai giardini pubblici
una coppia si baciava
anch’io su quel sedile ho avuto una donna
ora ho lo sguardo di una che vorresti
che scivola dai capelli alle scarpe
per scoprirti che sei uno straccione.
Lavoravo poi tornavo a casa sulla bicicletta, pieno d’entusiasmo
dormivo di un sonno profondo
e alle feste con la donna
che ho lasciato per farla sempre aspettare
ora l’insonnia sino all’alba
poi un sonno pieno d’incubi.
Avevo pensato di farla finita
se resisto è per la speranza che cambierà
ma ormai ho qualche filo bianco
senza una sposa e un figlio
solo questo vorrei questo sogno da pazzi.

da Le streghe s’arrotano le dentiere (1966)

Ovunque l’ultimo
per questa razza orribile di primi
ultimo nella sua terra a mille lire a giornata
ultimo in questa nuova terra
per la sua voce italiana
ultimo ad odiare
e l’odio di quest’uomo vi marca tutti
schiodato e crocifisso in ogni ora
dannato per un mondo di dannati.

*

Otto ore moltiplicate per tutta la vita
che copre il coraggio degli eroi e di tutti i santi
uomini intercambiabili e danzanti
la macchina è l’anima nostra
nel cartellino delle timbrate
sono le date della nostra storia
la produzione è il diario nostro
che raspa su tutte le coperture pagliaccesche
tutta l’anima nostra tra quattro mura rivoltanti
dove l’Iddio del duemila crepa perpetuamente
e perpetuamente rinasce
ogni nostro giorno per questo Iddio che è voce nostra
il Dio che è nelle nostre mani
il Dio fresato e saldato ogni giorno
e non vi è nulla di più incantato
di quando questo furore s’arresta
colta da paralisi mortale
la macchina ferma mammut scannato
lo sciopero votato nelle riunioni dei sindacati
s’è arrestato l’Iddio
e il suo manovratore e la terra trema
la fabbrica ferma
butta sulla terra il terrore dell’ultimo giudizio
e se oggi timbrare è il verbo
è sospeso il giorno della vittoria nostra
per questo giorno viventi
viventi per questa attesa.

da Enunciati (1993)

2
quando nel paesaggio ancora invernale morso dal gelo
improvvisamente esplode la fioritura del mandorlo
la precocità e l’estrema debolezza del tuo splendore
la minaccia è sopra di te i primi sono in pericolo estremo
la fioritura del mandorlo brilla nostro debolissimo vessillo
tu vessillo di morte precoce e di tutti gli inizi
poca materia viva circondata di morte
i nostri debolissimi segni della speranza pronti a finire
i primi di un nuovo mondo splendidamente vivi
con la gola serrata dalla morte

Luigi Di Ruscio (Fermo, 27 gennaio 1930 – Oslo, 23 febbraio 2011) è stato un poeta, scrittore e saggista italiano.

Autodidatta (consegue soltanto la licenza di quinta elementare), svolge diversi mestieri, e studia da solo classici americani, francesi e russi, la filosofia greca, saghe della mitologia nordica, l’opera di Benedetto Croce. Nel 1953 una giuria presieduta da Salvatore Quasimodo gli assegna il premio Unità. Nel 1957 si trasferisce in Norvegia, dove lavora per quarant’anni in una fabbrica metallurgica, e si sposa con una cittadina norvegese, da cui avrà quattro figli.

Oltre alla produzione libraria, ha collaborato con lavori poetici e interventi in prosa a varie riviste e giornali (tra gli altri: “Momenti”, “Il Contemporaneo”, “Realismo lirico”, “Ombre rosse”, “Alfabeta”, “il manifesto”, “Azimuth”).

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