Mariangela Gualtieri / Caffè letterario

Da qualche parte duole
il tempo spina, la goccia avvelenata
che m’inquina, l’antico virus
sempre alle calcagna. Ospite a me
voce che si lagna vergognosa.
E questo piccolo vaso con viole
canta sul tavolino un sí di perfezione –
il suo essere qui, la sua canzone esperta
di rondini. Altissima visione.
Ingrata me. Non è abbastanza oggi
in mia disperazione
il patrocinio altissimo dei fiori.
*
Al mattino, una miniera
si spalanca nella luce del cielo
e se guardo su, l’aperto
mi conduce verso una sponda
di eccelse volute. C’è pace allora
dentro questa carne. Bene si cuce
ciò che si vede con la parte mancante.
Le mie pagnotte si impastano di luce
e mangeremo.
Una nutrizione potente scuote
risveglia le mie arcate.
*
Sopra un siffatto altare di nuvole
si celebra il silenzio in particelle
d’oro. E l’instancabile sacerdote
fiammeggia all’orizzonte.
*
Nella mia testa non c’è altro che mare
altro che mare incantatore – altro nient’altro
che mare e sole in un crescendo silente
e dormiente.

Parla un mistero. Tace un mistero
e solo il corpo entra nel fiore
nel fiore d’acqua.
*
Si trema, per contentezza e per mistero
dentro l’orto, si infilano le mani nella terra
inginocchiati si adora, senza saperlo,
e l’acqua è sostanza che risveglia
cresce e ristora. Quanta luce nell’orto –
quanta notte. Ogni stella di questo emisfero
passa sull’orto.
*
Il notturno mare
era tana e bestia
era tutto mistero steso
assaliva la persona
d’un’ombra vastissima
e la smarriva.
Notte e mare
nella loro covata spaventosa
rizzavano colonne d’ombra
subacquee grotte d’ombra
e colonne precipitate
enormi abissali arcate.

Ascolta – tutto quel buio respira.
Viene – come faccia stesa
d’una serietà grave e feconda
partorisce il nero e il pensiero.
Ha zampe e rampe. Il suo manubrio di comando
investe ogni animale – cadono stesi i corpi
nell’attesa che passi lo spavento respirante
sia schiacciata l’ombra
sotto le acque.
*
Ormai è sazio
di ferite e di cielo. Si chiama
uomo. Si chiama donna. E’ qui
nel celeste del pianeta –
dice mamma. Dice cane
o aurora.
La parola amore l’ha inventata
intrappolato nel gelo.
Perso. Lontano. Solo. L’ha scritta
con ditate di rosso
in un silenzio caduto giù
dalla neve.
*
(da Le giovani parole, Einaudi, 2015)

Mariangela Gualtieri nasce a Cesena nel 1951. Si laurea in architettura allo IUAV di Venezia. Poetessa e autrice di testi per il teatro, a Forlì Cesena fonda, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca (1983). Suoi autori preferiti sono Amelia Rosselli, Dylan Thomas, Dante Alighieri e Clemente Rebora; tuttavia, il suo stile letterario mantiene un’assoluta indipendenza da modelli, correnti e ispirazioni, concentrandosi soprattutto sulla potenza e, allo stesso tempo, l’inadeguatezza della parola. Tra le sue raccolte poetiche si ricordano Antenata (1992), Fuoco centrale (1995), Bestia di gioia (2010) e Le giovani parole (2015).

Donatella Pezzino

Nella foto: Aligi Sassu, “Fiorenza e l’attesa”, 1960

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