Marina Cvetaeva / Poeti Internazionali

ELOGIO DEL TEMPO

a Vera Arenskaja

Selciato di fuggiaschi!

Un boato e – a rompicollo,

a perdifiato – ruote! Tempo,

tu mi lasci – indietro!

Acchiàppalo! tra i calendari, nella gabbia

degli abbracci… ma scivola frusciando

il rivolo di sabbia! Tempo,

io non starò – al tuo gioco!

Lancette di quadranti, arterie

di rughe – di Americhe

tutte le scoperte e le sorprese…

Tempo, tu mi ruberai – sul peso!

Mi tradirai: ripudio

di mogli sempre nuove!

Io ti ho già perso,

tempo, treno di diversa

destinazione!

Giacché io sono nata fuori

tempo! Ti sfianchi invano,

non convinci! Califfo per un’ora!

Tempo, io – ti manco!

I POETI

I

Da lontano – il poeta prende la parola.

Le parole lo portano – lontano.

Per pianeti, sogni, segni… Per le traverse vie

dell’allusione. Tra il sì e il no il poeta,

anche spiccando il volo da un balcone

trova un appiglio. Giacché il suo

è passo di cometa. E negli sparsi anelli

della causalità è il suo nesso. Disperate –

voi che guardate il cielo! L’eclisse del poeta

non c’è sui calendari. Il poeta è quello

che imbroglia in tavola le carte,

che inganna i conti e ruba il peso.

Quello che interroga dal banco,

che sbaraglia Kant,

che sta nella bara di Bastiglie

come un albero nella sua bellezza…

È quello che non lascia tracce,

il treno a cui non uno arriva

in tempo…

Giacché il suo

è passo di cometa: brucia e non scalda,

cuoce e non matura – furto! scasso! –

tortuoso sentiero chiomato

ignoto a tutti i calendari…

II

Ci sono al mondo esseri superflui,

creature in più, aggiunte senza peso.

(Assenti dagli elenchi e dai prontuari,

inquilini dei pozzi più neri.)

Ci sono al mondo esseri cavi, esseri presi

a spinte, muti: letame

e chiodo per gli strascichi di seta.

Ripugnano anche al fango delle ruote.

Ci sono al mondo diafani, invisibili:

(screziati dal marchio della lebbra!)

Ci sono Giobbe, che potrebbero invidiare

Giobbe… ma ai poeti, a noi poeti,

noi paria e pari a Dio –

è dato, straripando dalle rive,

rotti gli argini, rubare

anche le vergini agli dèi.

III

Cieca e figliastra – che farò nel mondo

dei figli e dei vedenti? Dove la passione

arranca su scarpate di anatemi?

Dove chiamano pianto

il raffreddore?

Canora di corpo e di mestiere

cosa farò – afa in Siberia, neve nel Sahara! –

di tutte le lievi mie ossessioni

nel ponderoso regno

delle stadere?

Cosa farò – primogenito e cantore –

nel mondo dove il più nero è grigio,

dove tengono il cuore sottovetro?

Cosa farò, smisurata, nell’impero

delle misure?

LA SIBILLA – AL BAMBINO

Vieni vicino al mio petto,

più stretto:

nascere, piccolo, è cadere nel tempo.

Dal non-dove, non-terra,

così rovinosa

discesa!

Da spirito in – polvere!

Piangi, bambino, per te, per tutti:

nascere – è cadere nel corpo!

Piangi, piccolo, per il futuro, e ancora:

nascere – è cadere nel giorno!

Nel tempo

sepolcro…

Dov’è l’incendio dei suoi prodigi?

Piangi, bambino, venuto – al mondo!

Dov’è la pena dei suoi tesori?

Piangi, bambino, venuto – al sangue!

– al quando

– al conto…

Ma ti alzerai! Ciò che chiamiamo morte

è cadere – nell’alto.

Ma tu – vedrai! Le palpebre chiuse

sono: venire alla luce.

Dall’oggi –

nel sempre.

La morte, bambino, è ritorno.

La morte è andare a ritroso!

Per – l’aria! a – nuoto! a –

scesa: indietro: in dentro – in e-

terno.

Testi selezionati da Dopo la Russia e altri versi (trad. di S. Vitale, Mondadori, 1988)

Marina Ivanovna Cvetaeva; Mosca, 8 ottobre 1892 – Elabuga, 31 agosto 1941) è stata una poetessa e scrittrice russa.

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