ELOGIO DEL TEMPO
a Vera Arenskaja
Selciato di fuggiaschi!
Un boato e – a rompicollo,
a perdifiato – ruote! Tempo,
tu mi lasci – indietro!
Acchiàppalo! tra i calendari, nella gabbia
degli abbracci… ma scivola frusciando
il rivolo di sabbia! Tempo,
io non starò – al tuo gioco!
Lancette di quadranti, arterie
di rughe – di Americhe
tutte le scoperte e le sorprese…
Tempo, tu mi ruberai – sul peso!
Mi tradirai: ripudio
di mogli sempre nuove!
Io ti ho già perso,
tempo, treno di diversa
destinazione!
Giacché io sono nata fuori
tempo! Ti sfianchi invano,
non convinci! Califfo per un’ora!
Tempo, io – ti manco!
I POETI
I
Da lontano – il poeta prende la parola.
Le parole lo portano – lontano.
Per pianeti, sogni, segni… Per le traverse vie
dell’allusione. Tra il sì e il no il poeta,
anche spiccando il volo da un balcone
trova un appiglio. Giacché il suo
è passo di cometa. E negli sparsi anelli
della causalità è il suo nesso. Disperate –
voi che guardate il cielo! L’eclisse del poeta
non c’è sui calendari. Il poeta è quello
che imbroglia in tavola le carte,
che inganna i conti e ruba il peso.
Quello che interroga dal banco,
che sbaraglia Kant,
che sta nella bara di Bastiglie
come un albero nella sua bellezza…
È quello che non lascia tracce,
il treno a cui non uno arriva
in tempo…
Giacché il suo
è passo di cometa: brucia e non scalda,
cuoce e non matura – furto! scasso! –
tortuoso sentiero chiomato
ignoto a tutti i calendari…
II
Ci sono al mondo esseri superflui,
creature in più, aggiunte senza peso.
(Assenti dagli elenchi e dai prontuari,
inquilini dei pozzi più neri.)
Ci sono al mondo esseri cavi, esseri presi
a spinte, muti: letame
e chiodo per gli strascichi di seta.
Ripugnano anche al fango delle ruote.
Ci sono al mondo diafani, invisibili:
(screziati dal marchio della lebbra!)
Ci sono Giobbe, che potrebbero invidiare
Giobbe… ma ai poeti, a noi poeti,
noi paria e pari a Dio –
è dato, straripando dalle rive,
rotti gli argini, rubare
anche le vergini agli dèi.
III
Cieca e figliastra – che farò nel mondo
dei figli e dei vedenti? Dove la passione
arranca su scarpate di anatemi?
Dove chiamano pianto
il raffreddore?
Canora di corpo e di mestiere
cosa farò – afa in Siberia, neve nel Sahara! –
di tutte le lievi mie ossessioni
nel ponderoso regno
delle stadere?
Cosa farò – primogenito e cantore –
nel mondo dove il più nero è grigio,
dove tengono il cuore sottovetro?
Cosa farò, smisurata, nell’impero
delle misure?
LA SIBILLA – AL BAMBINO
Vieni vicino al mio petto,
più stretto:
nascere, piccolo, è cadere nel tempo.
Dal non-dove, non-terra,
così rovinosa
discesa!
Da spirito in – polvere!
Piangi, bambino, per te, per tutti:
nascere – è cadere nel corpo!
Piangi, piccolo, per il futuro, e ancora:
nascere – è cadere nel giorno!
Nel tempo
sepolcro…
Dov’è l’incendio dei suoi prodigi?
Piangi, bambino, venuto – al mondo!
Dov’è la pena dei suoi tesori?
Piangi, bambino, venuto – al sangue!
– al quando
– al conto…
Ma ti alzerai! Ciò che chiamiamo morte
è cadere – nell’alto.
Ma tu – vedrai! Le palpebre chiuse
sono: venire alla luce.
Dall’oggi –
nel sempre.
La morte, bambino, è ritorno.
La morte è andare a ritroso!
Per – l’aria! a – nuoto! a –
scesa: indietro: in dentro – in e-
terno.
Testi selezionati da Dopo la Russia e altri versi (trad. di S. Vitale, Mondadori, 1988)
Marina Ivanovna Cvetaeva; Mosca, 8 ottobre 1892 – Elabuga, 31 agosto 1941) è stata una poetessa e scrittrice russa.