Napolitudine

Uno s’aspetterebbe una città gaglioffa
gente scavata e scalmanata
che ti sbatte in faccia l’amore

s’aspetterebbe le gazzarre nei cortili
o le canzoni
una novella del trecento
che aggalla pudibonda dietro al porto:

e pure è ancora scalza e guappa l’anima qui:

ci sono vicoli dove il cielo guaisce
e slarghi di mare ricamato alle finestre
stretta ferita di balconi è l’allegria

ci sono teschi sotterra e voci
qui, delle tristi arguzie, è un segno il sole
sconfina ogni casella di dolore.

Ora sollevo il decumano
e me lo porto dietro
stacco il rintocco sordo di campane fuse nel seicento
e le morti colonne
il travertino e il porfido errabondo
e il tufo
tocca anche a me una parte di bellezza
racconterò d’averla avuta per errore.

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