L’ondata
Di giorno la mia porta
è una chiglia affiorante che vibra
al respiro alto del mare:
l’universo la viene a inondare
fiorendo col sole.
E le cose vivide e innamorate
passano nella mia casa pura,
e dicono caldi nomi di creatura,
di piante, di stelle serene.
Nei giorni che nulla avviene
felicità è nel vento
e porta vite in cammino
dal silenzio raggiante.
E la gioia passa con l’onda
che la riva larga ribeve:
rinasce più oltre, più breve,
e il mare torna e la consuma.
*
La terra
Ti ho respirata con l’alba
per non destarmi sola,
e ti ho chiamata nelle notti amare,
sorda di pietre e giovane di stelle
sotto il cielo che scende e non consola.
Ho veduto nel mio pianto infantile
tutti i colli velarsi e lontanare;
ho udito cantare gli uomini
per non sentirsi morire.
E la mia carne ti ritrovi,
o benedetta nei fiori e nei rovi,
terra, unico amore.
*
L’ascensione
Quando rialza l’aria
la moltitudine dei rami
incontro al primo anelito di stelle,
ancora sulla terra senza luce
ti leverai da tutte le colline
fin dove spira l’anima del sole.
Avranno ala nel vortice
le creature spoglie,
le creature mute,
quelle che il tuo silenzio ha perdute,
grige pietre delle morene.
Allora senza più nome né volto,
solo pianto dimenticato,
ascoltale chiamare dagli abissi,
angeli crocifissi alle tue stelle.
E libera con te, fatte di terra,
le nostre cose povere
come la sabbia al vento che dilegua.
*
T’amo, Signore, per la muta passione delle rose
T’amo, Signore, per la muta passione delle rose.
T’amo per le cose della vita leggere,
le cose che sognano i morti la sera
dentro la terra calda,
sotto il limpido brivido degli astri.
Ma più t’amo, Signore per la misericordia
delle tue grandi campane
che portano nel vento
verso l’anima della sera
la nostra povera preghiera.
(da Fin dove il polline cade, Nicolodi, 2008.)
Nedda Falzolgher, detta Nil, nasce a Trento nel 1906. Una poliomelite la colpisce a soli cinque anni; studia da autodidatta nella sua casa sull’Adige, arrivando comunque ad acquisire una buona e variegata cultura.
Della sua formazione si occupa la madre, che le insegna il latino e il francese, consentendole di accedere ai classici latini e alla lettura di autori come Baudelaire, Verlaine e Rimbaud, ai quali si ispirerà il suo stile poetico.
Negli anni Trenta, la sua casa diventa un vero e proprio salotto letterario dove si riuniscono intellettuali e poeti. Muore nel 1956.
Nella sua poesia, al centro è lo stupore per le piccole cose, dal suono delle campane all’odore del mare, che la fragilità dell’esistenza umana rende ancor più preziose. L’armonia dei versi, bellissima nella sua malinconia, crea una musica il cui incanto risiede proprio nella semplicità senza artifici, e in un amore senza confini per il creato e per Dio. Tra le sue opere si ricordano En piaza del Littorio (1934) e Fin dove il polline cade (1949).
Donatella Pezzino
Immagine: La sigaretta, dipinto di Carla Maria Maggi (1934)