NINFEO, SENZA LUGLIO

E’ tutto mio, e niente mi appartiene. La discesa su scalini sacerdotali, le bombole, il gas tra le mattonelle. E’ tutto mio, il nastro isolante, l’omicidio del fantasma, il non riconosciuto rancore, i tempi, il tempo, i tempi. E’ tutto di nessuno, la morte dell’artista, Euridice accanto a me attraverso i cancelli lunari, il soppalco delle voci, le maglie viola, i seni trasparenti. Sono io, con un’ambasciata di frutta e malessere, di bucolico clap clap silente nella mia testa di voci assidue, verminazione continua nel colon di cani che desidero, con cui voglio dormire, su cui voglio poggiare la testa, osservare il Gate 13, osservare le porte, disegnarle, illuminarle, pennellare il nastro con l’inchiostro finito, che non serve, che non serve.

E’ tutto mio, e sono io, ascolta un attimo, non ho bisogno di convenzioni o di ricerca, Luna, spezzata nella fronte, sull’ asfalto e in ogni ragno, nella mia bocca per ottomila notti, attraverso le fessure del mio non-sonno. Sono io, con scatti di annullamento ed egocentrismo a mettermi un attimo da parte, nella stanza buia di ogni posto. Ripetendo comunque il mio nome, perdendo il punto, seguo e scrivo, cerco di ubriacarmi, ma la notte passa e ripeto alle voci maschili ‘Ascoltatemi, mi manca mica la sfacciataggine’, e mi manca mica davvero, cerco un posto per pisciare durante concerti e luci, e fumi saliti sopra al Ninfeo, rane dentro acqua putrida, in cui mi specchio e sogno di fotografare ogni giorno onirico che sto uccidendo.

O lui uccide me.

Perché sono io, non c’è un attimo, non c’è bisogno d’aspettare, la metrica in un angolo e negli stessi ragni satelliti caduti come la Luna, anch’essa satellite, che ho perduto per un attimo, subito ritrovato dentro una strada di fosse, spesso metafora di poetastri e barboni barba blu, sotto ponti.

Mi manca mica l’orgoglio per continuare a vomitare placido non consenso, mi esce da tutte le parti, dalla mia memoria-biscia, dal mio strisciare-trono, dalla mia vittoria di cani.

Ho chiesto a loro di bere la mia acqua, di prendere il mio colore, salendo scale zen, ostentando giovanissime frenesie.

Ma i cani se ne vanno, la loro coda tra le stelle, baltiche atmosfere in mezzo al mio cervello, che spinge il mio corpo ad Aspettare, sopra panchine, lusso mai veduto, aspetti poco consoni, parole mai scarabocchiate.

Mi manca mica il senso, mi manca mica l’abbaiare.

E i ciondoli di luna (che a loro spesso manca il senso) sempre sopra l’asfalto, attendono un minuto la mia corsa di lanterne.

Così sono io, è tutto mio, i lupi d’ogni angolo, ne ho ingoiati ottomila, li ho visti scappare sotto i ponti e attraverso le mie sinistre finestre sorridenti, non mi funzionano i tasti.

Mi manca mica l’ululato, per piangere gli States, per non esistere, il fatto è che mi sfugge, e l’insonnia sopra le mie ossa – scheletro di palazzo – sorride anche lei, assieme alle mie finestre.

Penso allora alla fuga, ma non posso, e non posso, perché è vero:

è tutto mio, e niente mi appartiene. La discesa su scalini sacerdotali, le bombole, il gas tra le mattonelle. E’ tutto mio, la Luna che cade.

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