Tu sei tormentato dal sogno
dei due ciclopi
a cui hai amputato con la tua stessa personalità
da fiera, braccia e gambe
e li hai visti in modo vivido
spaventoso
assopiti e sereni nel clima di acquamarina
invischiarsi sicuri in tavolate per giganti
Anche lì ascoltavi le tue ossa muoversi
confabulare stregonerie,
bocche su bocche di litri adirati
verso le tue gambe di stambecco
anche lì il tuo solito
vecchio
incredibilmente lontano amico pazzo
era morto
sul selciato col suo sorriso
da non-genio
E la situazione richiedeva
una sinossi convincente per quel diario
di stralci e confusioni assolute
Tutto quello che non era un romanzo
era impacchettato in una colonna posticcia
su una pagina di giornale di
cinquant’anni fa
Era stato magistralmente inventato dalle tue notti
di ragni tra le braccia
tarantole demoniache
l’impressione di cadere con addosso una larga maglia a strisce
a gambe all’aria dritta sul giardino marcio di Plutot la vie
Che noia la tenda senza trama
oscura e indecifrabile nel corso della mia memoria
notturna e biblica
l’uomo rosso di nome
Aniòn che ha scritto un manifesto
a manate con acrilico corrosivo
in cima alle mie sopracciglia
adesso si è rinchiuso come un feto
e dorme facendo da terzo occhio ammalato
La mia bontà è infetta
i piedi e i cappelli e le torte che vendo
i giorni tutti uguali
la squilibrata coi capelli bruciati
il mio discernimento rimbalzante
il latte fra le increspature marroni
Le mani fredde di Plutone attraverso le mie costole
i miei gioielli finti e neri da Proserpina
e il cammino in reverse
tra pontili alberi staccionate puttane greche
tutto urla a gran voce,
oh
tutto urla: io non tornerò.