Pantaloni non miei (di Cateno Tempio)

giullare

 

http://www.catenotempio.eu/

 

Pantaloni non miei, maglione
macchiato e un temporale
s’appresta, sporca i vetri,
metafora di niente,
nemmeno di questa
faccia triste
per gioco o ruolo,
per assuefazione.
Ci vorrebbe una giacca, una pipa;
ci vorresti tu, seduta
accanto a impedirmi di scrivere.
L’angoscia che straripa
non ti contiene. Il calice
dei nostri corpi è rotto,
le vene sono striature
per cui si mescono
le nostre essenze,
pure.

Virtuosi della noia, randagi
in semicupio, vorrei descriverci,
lividi d’insonnia
per ciò che ci fa male:
l’abbiamo detto,
il mondo.

(L’abbiamo detto.
Laccato d’umanità, un fissante
tenue. Certo – non c’inganna –,
sotto la breve
facciata di compassione
vibra l’antico incenso
di una maldestra pieve.
E ora, e ora?
L’incenso, pure a Pasqua, maleodora.)

(Non voglio più scrivere poesie
disperse per gli andazzi giornalieri
e il suono
sparso per gli anfratti
di case antiche come palafitte…)

(che scrivere?, perdio, perché e come?
La glossolalia. Balbuzie. Depressione.
La ripetizione, perdio, ripetizione!
Ô Deleuze, ô Deleuze,
deluge des mes larmes,
orage de malheure,
je n’ai que l’erreur!)

Non voglio più scrivere perché
tra noi due
sono io il peggiore,
con versi
che ridacchiano nascosti,
da cui sono bandite due parole:
la prima non la pronuncio neanche più.
L’altra sei tu.

(Ma la festa, la festa…
Giullare, poverello,
morto di fame, in cerca di frizioni,
sfregamenti, divieni un misero
cristo paesano
tra feste, tradizioni,
cortei e santi patroni,
con questa pagliuzzetta di poesia!
Vuoi compiacere al prete,
al sagrestano,
al ‘che si dice?’, al ‘come andiamo?’!
Andiamo, andiamo!
Diventa frocio, ammalati
di tumore,
bevi soltanto il più aspro
liquore, giocati il fegato
a rimpiattino!
Risvegliati un mattino
cianotico di cirrosi
apatica, antipatica!)

Non sai dove sarò, non sai,
lo so. Né tantomeno
lo so, smarrito, in balìa
di versi capricciosi,
posticci, cancherosi. S’odo
una rima è un cane
che abbaia un saluto
lontano,
un latrato,
per farmi accorgere che
ancora una volta
mi sono perduto.

E cerco d’essere lirico,
per te, di scriverti
filastrocche,
facendo rime di rose,
di albicocche, di margherite,
crisantemi,
violacciocche, di scriverti
lettere come i bambini,
per chiederti se resterai
per sempre,
resterai
per sempre,
resterai
fin quando avrò corroso questa
fisarmonica storpia
che ha mille buchi, la tastiera rotta,
che ha effigie di testa e forma di mente,
(resterai, rosa e albicocca,
resterai?)
e suona malinconica nel niente.

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