PASSAPAROLA

Charles Bukowsky, senza smettere di piangere Jane, esce dalla casa di North Mariposa Ave, LA, e prende un taxi fino a Silver Lake.
Lì, con il cuore dentro al lago, seduto su una panchina, Alessandro il Macedone inganna il pomeriggio, bevendo vino da un cratere e tracciando piani di battaglia nella terra, con la punta della spada.
“Ehi, Great, c’è una tizia in giro che vale parecchio di più di una semplice scopata. Pare sia l’affare migliore in circolazione dopo una buona birra e subito prima della birra che viene dopo la prima birra. Credimi Great, è davvero un dono degli dei” gli spiattella Charles con la sua bronchia, appena ce l’ha davanti.
Alessandro si distoglie dal suo scrutare, salta in groppa a Bucefalo, che ha il fuoco d’Asia nei garretti, e galoppa tutto d’un fiato fino in Argentina. In una Buenos Aires in bianco e nero avvicina Ernesto che torna dall’allenamento di rugby.
“Ascoltami, o Che. I satrapi, divenuti ormai i miei occhi e le mie orecchie, mi riferiscono di una mortale di fronte alla quale Roxane e Statira sono nient’altro che pallide parvenze. Solo ad Efestione, il mio Efestione (quanto mi odio per essergli sopravvissuto, quanto, Zeus padre!), potrebbe essere accostata, forse, se solo non fosse donna!”
Ernesto nemmeno si cambia, passa a chiamare Alberto e insieme inforcano la Norton. In un lungo memorabile viaggio raggiungono la Giudea, dove regna Salomone il saggio.
“Grande re, c’è una donna bella come la rivoluzione. Vale la pena di lottare per lei perché senza di lei non vale la pena di vivere”
Salomone re d’Israele, figlio di Davide e Betsabea, si mette in marcia con i figli maschi del suo popolo, diretto verso nord. Dopo quarant’anni di lungo cammino giunge a Londra, capitale del regno d’Inghilterra.
Nel Globe Theatre incontra finalmente il bardo e lo avvicina.
“C’è una donna, non più giovinetta -gli dice- bellissima tra tutte, dei cui baci chiunque si riempirebbe la bocca, ai cui profumi olezzanti ognuno inebrierebbe le sue narici, le cui tenerezze sono più dolci del miele, più gioiose del vino, la cui pelle è più bianca del latte degli agnelli che conduce al pascolo”.
William guarda i suoi attori, ordina che gli si porti il cavallo di uno dei nobili ignari seduti in platea e parte al trotto sotto la pioggia.
Il viaggio verso il vice-regno di Sicilia dura due mesi. Quando arriva a porto Empedocle trova il maestro che si appresta a sbafare una pasta al nivuro di siccia.
“Mastro Andrea, come potrò scusare il mio destriero/ che così lento mi conduce a te/ e mi impedisce di portarti nuove di colei/ che dicono conti più di quaranta inverni/ e ciononostante d’invidia/ faccia i fiori impallidire/ con le sue rosee guance?”.
Andrea finisce di mangiare con calma, si netta la bocca con il tovagliolo, fuma una sigaretta, prende l’autobus fino a Punta Raisi e sale sul volo delle 17.00 per Paris-Orly.
Per arrivare in Rue Bonaparte il taxi ci mette più di un ora a causa del traffico intenso.
Quando Andrea e Jacques si vedono hanno entrambi una sigaretta appesa all’angolo destro della bocca.
“C’è una bedda fimmina sapurusa quarantina che sst’occhi masculini no finisciunu mai di taliari”.
Prevert sorride, finisce il Pastis, e dopo un’ora è già sul treno. Quando arriva a casa mia è mattino presto e io sono qui seduto a scrivere, come sempre.
“Je l’ai vue. L’ho vista. -mi dice con gli occhi acquosi- Camminante sorridente semplicemente rapita sotto la pioggia grondante creatura terrestre e anche se l’ho vista una volta sola non posso dimenticarla anche se non ci conoscevamo non posso dimenticarla rapita raggiante sorridere felice”.
Io l’ho guardato, l’ho fatto sedere con il suo cappello schiacciato e il suo pastrano, gli ho fatto un caffè forte, gli ho tenuto una mano sulla spalla e gli ho detto: “Lo so, Jacques, lo so. Io le vivo accanto”
A quel punto sei comparsa tu con i capelli arruffati.
Bella come sei appena sveglia.
Bella come ti fa il mattino.
Poi hanno bussato alla porta ed erano tutti gli altri. Li abbiamo fatti entrare, li abbiamo fatti accomodare e abbiamo fatto colazione tutti insieme ad un grande tavolo imbandito di voci.
Con una grande tovaglia bianca.

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