Patrizia Cavalli / Caffè letterario

Una media di quattrocentottanta
miliardi di battiti al minuto.
E non ci metto gli animali
che non so contarli. E lascio stare gli anni,
e lascio stare i giorni e anche le ore.
Quattrocentottanta miliardi
di battiti mi bastano. Messi insieme
fanno un gran rumore, un rumore
infernale e nessuno se ne accorge.

*

Poco fa me ne stavo rannicchiata
dentro un mezzo sonno coscienzioso
quando mi è apparso il mio destino figurato,
non visibile al presente o nel futuro
ma sicura proprietà del mio passato.
Qualcosa che era lí con me al mio inizio
e che mi equipaggiava, come una maglia nuova,
bella compatta, che poi, non si sa quando,
s’è disfatta. Sí, avevo il mio destino
e si è sciupato. Ma a quale duro ferro
mi si è impigliato il filo? Ecco, lo vedo
che se lo tira via mentre io incosciente
senza girarmi mai per liberarlo
per distrazione mia continuo sempre
a muovermi in avanti, avanti non davvero
che ero in un cerchio dove però molto
mi muovevo con la mia maglia ormai
tutta un groviglio. O dio, o dio,
dunque è cosí, piú avanzo e piú mi spoglio!
Avrei dovuto far la balia al mio destino,
tenermelo vicino, buono, al caldo,
ma quel feroce gancio che mi ha strappato
il filo, cosa sarà quel gancio
scostumato per cui ora striscio nuda
dietro al tempo? Ah che stupida idea
questo destino! Rinuncio al suo corredo,
non lo voglio, sarò comunque nuda
quando verrà il momento. Ma come
mi presento, come faccio
con questo assurdo malloppetto sfatto!

*

Ostinarsi a far parlare il nulla
a cercare parole che non hanno voglia
frequentare il deserto senza voce
senza respiro, macchie di ruggine
– magari! – senza arnesi perduti
nella sabbia – magari! – un deserto
senza sabbia senza caldo senza freddo
senza scoppi di luce al buio – magari
magari! – mangiare un pezzo di pizza
– magari! – Masticare. Faccio finta. Che meraviglia
essere in vita, ci si può persino lamentare.

*

Essere nati, non solo essere nati,
ma anche in una data, proprio in quel giorno
precisamente nati.

*

Così schiava. Che roba!
Così barbaramente schiava. E dai!
Così ridicolmente schiava. Ma insomma!
Che cosa sono io?
Meccanica, legata, ubbidiente,
in schiavitù biologica e credente. Basta,
scivolo nel sonno, qui comincia
il mio libero arbitrio, qui tocca a me
decidere che cosa mi accadrà,
come sarò, quali parole dire
nel sogno che mi assegno.

(Da “Datura”, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2013)

Patrizia Cavalli nasce a Todi nel 1947. Nel 1968 si trasferisce a Roma. Durante gli studi di filosofia, l’incontro con Elsa Morante fa affiorare in lei la vocazione per la poesia.

Nel 1976, due anni dopo la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie Le mie poesie non cambieranno il mondo, Patrizia viene inclusa nell’antologia Donne in poesia – Antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra ad oggi, insieme ad autrici del calibro di Maria Luisa Spaziani, Vivian Lamarque, Amelia Rosselli e Anna Maria Ortese.

Seguono altre pubblicazioni di successo, come le raccolte poetiche Il cielo (1981), L’io singolare proprio mio (1992) e Datura (2013), alcune traduzioni del teatro di Shakespeare e di Moliere e la raccolta di prose Con passi giapponesi (2019) vincitrice del Premio Campiello – selezione Giuria dei Letterati. Muore nel 2022 a Roma dopo una lunga malattia.

Molto complessa dal punto di vista tecnico, la poesia di Patrizia Cavalli associa la metrica classica al lessico contemporaneo, utilizzando il parlato quotidiano e familiare, senza poeticismi e manierismi. Tema centrale è la vita, bella sempre, da amare non solo nelle piccole e grandi gioie ma anche nelle contraddizioni, nelle sofferenze, nei drammi esistenziali, nelle domande senza risposta, nei desideri di libertà da conformismi e imposizioni.

Donatella Pezzino

Immagine: “Volto”, dipinto di Novella Parigini, 1979.

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