Ponte Poesia | Davide Lucantoni / “Mem”

Questa rubrica nasce con l’intento di provare a essere un trattino d’unione tra i poeti contemporanei e chi la Poesia l’ha sempre guardata da lontano o frequentata solo sui libri di scuola. Senza la pretesa di fare critica letteraria andremo insieme a incontrare chi con i versi scava nel sentire di questo tempo complicato. Uno spazio per i “non addetti ai lavori”, per i curiosi, per i viaggiatori, dove scoprire quali creature bizzarre, sono i poeti.

 

Davide Lucantoni ha 30 anni. Anzi, compirà 30 anni il prossimo anno. Ho scoperto da poco la sua poesia e sono andata a cercare tutto quello che potevo trovare su Internet (ho ordinato anche il suo libro, che sono curiosa di leggere), rimanendo subito colpita da un certo cinismo analitico nei confronti della vita, sentimento che veste appieno la sua generazione e non a torto, direi. A ben vedere nella poesia di Davide c’è proprio una valutazione onesta e spoglia del tempo che viviamo, questo è e da questo non possiamo uscire.

“che invece è solo qualcosa
da cui si può uscire. E non è la vita”.

Non gira intorno alle cose il poeta, ma le dubita e le presenta con un linguaggio adeguato, privo di lirismi, ce le butta addosso, spingendoci alla riflessione di come e dove siamo ingabbiati.

“sono già deragliati gli eventi”  racconta, e tutti i simboli dove ancora ti cerchi.

Con una certa dignità è ben presente anche la morte nei suoi testi, morte che d’altronde è citata nel titolo.
Mem è la tredicesima lettera di molti alfabeti semitici e probabilmente deriva dal geroglifico egiziano dell’acqua mossa.
Nei Tarocchi è, appunto, associata a La Morte, che l’autore spoglia dal mistero, tratta faccia a faccia, come se in fondo fossero altre le cose di cui avere timore, alle quali siamo condannati. Morte come giostra sulla quale tutti dobbiamo salire. Peggio forse girare come criceti sulla ruota della vita?
Qualche giorno fa mi è stato chiesto se i ragazzi giovani scrivono ancora poesia.
Ebbene sì, la scrivono, e mai come in questo momento trovo le loro voci necessarie e importanti. Due versi in particolare, in queste poesie, mi hanno incantata:

“lo stesso prato dove corrono dei bambini
crescendoci incontro.” 

Prato, metafora della vita,  o almeno questa è la mia personale lettura, dove all’apice ci raccogliamo in mucchietti di cenere,  soli eppure tramite e continuo della generazione che viene.

 

 

 

 

  • L’uomo personificato I

 

«Sarai per sempre vivo nei nostri cuori –

mi dice il frontespizio di una lapide.

Ma lo dice poi a me, e chi, il morto
i parenti del morto, a me o a lui

e ora, qui, lo dicono loro lui o io
e a chi»

 

 

  • Come degli illusi

 

Alla fine restiamo soli distesi sul prato
in piccoli mucchietti di cenere, ognuno

al vertice del suo raccoglimento;

lo stesso prato dove corrono dei bambini
crescendoci incontro.

 

 

 

  • (per non sembrare illusioni)

 

Fuori, in giardino, c’è un mondo di cose
che non ci sono. Io, ad esempio, non ci sono
e non c’è nemmeno il giardino che vedi tu
fuori da quella che immagini sia una stanza
o una casa, che invece è solo qualcosa
da cui si può uscire. E non è la vita.

Vorrei sapere cosa vedi quando dico
«fuori, in giardino».

Lo vedi forse illuminato a giorno, perché
è più facile, su due piedi, che
immaginarlo verde ma all’oscuro di sé.
E io, sapendolo, non lo avrei scritto.
Nessuno lo vedrebbe, d’istinto;
d’altronde, nessuno sano di mente
vedrebbe mai, qui, qualcosa
che non c’è.

 

 

 

  • I. Il mago

 

Non sa piegare un cucchiaio, figuriamoci
farti sparire. È possibile soltanto sulla carta,
come pure colui che legge le carte
dove sono già deragliati in eventi, i simboli,
in cui ti cerchi ancora come un segno.

 

 

 

 

  • Camerino II 

“Tais-toi, miroir, et bois ton”

(Ecce Homo – George Ribemont-Dessaignes)

 

Sta in mezzo, al centro del camerino
e davanti a tutti i suoi profili chiede
di riscuotere la propria taglia, se il tempo
l’abbia almeno reso presentabile:

messo di fronte alla propria evidenza,
prega un salvavita, che scatti mentre
si accorge di aver preso un abbaglio.

Allora guarda l’apparso dritto negli occhi,
dove c’è solo quello che vede

e trova che siccome è piatta, la vita
che gli sta davanti,
in fondo non faccia una piega

se tutto per fare ordine alla fine
si ripiega e la misura
di ogni cosa comincia a spogliarsi.

 

Davide Lucantoni è nato a Sant’Omero (TE) il 28 maggio del 1992. Si è laureato in Economia e management all’Università Politecnica delle Marche. Al momento lavora come ricercatore presso l’IRCCS INRCA di Ancona. Nel 2018 ha pubblicato Eccesso di Forma (Arcipelago itaca Edizioni, prefazione di Alessio Alessandrini). Mem è il suo secondo libro (Arcipelago itaca Edizioni)

 

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