Ponte Poesia | Marco G. Maggi / “Né padri né madri”

Questa rubrica nasce con l’intento di provare a essere un trattino d’unione tra i poeti contemporanei e chi la Poesia l’ha sempre guardata da lontano o frequentata solo sui libri di scuola. Senza la pretesa di fare critica letteraria andremo insieme a incontrare chi con i versi scava nel sentire di questo tempo complicato. Uno spazio per i “non addetti ai lavori”, per i curiosi, per i viaggiatori, dove scoprire quali creature bizzarre, sono i poeti.

Quando, qualche settimana fa, ho chiesto a Marco se potevo avere il piacere di ospitarlo in questa mia piccola rubrica di Poesia, non solo ha accolto con gentilezza la mia offerta, ma oltre a qualche suo testo poetico edito e inedito, ha voluto donarmi in lettura un poemetto, ” Né padri né madri”, curioso e “trepidante” a suo dire, di conoscere il mio parere su un testo dove aveva versato 4 anni di lavoro, tanto impegno civile e innumerevoli letture di poesia, soprattutto straniera. Dire che mi è piaciuto sarebbe riduttivo. Ho concluso la lettura di queste pagine profondamente commossa. Ogni verso una fotografia della realtà che stiamo vivendo, immagini che non porgono risposte al lettore quanto innumerevoli domande, quesiti che affollano la mente e il quotidiano, che oramai sono nostri compagni di viaggio, in questo surreale panorama che stiamo camminando. Gli stralci che andrete a leggere sono figli diretti delle viscere dell’autore, sono carne e sangue, sono dubbio e sgomento.

Credo che sia un dovere poetico, quasi una missione, occuparsi del nostro vivere civile e collettivo. Sappiamo che non possiamo tirarci indietro di fronte alla nostra coscienza” mi scrive Marco G. Maggi e io non posso che riconoscere in questa affermazione la volontà di denunciare un tempo che ci vede orfani, senza padri né madri, eppure non resi, perché arrendersi sarebbe non disegnare sentieri per i figli, e da questo non possiamo e non dobbiamo esimerci.

Credere nell’impossibile, provarci sempre: con questo aforisma il poeta ci apre le tre stanze di questa sua fatica poetica, comunicanti fra loro da una musicalità incessante e fluida, che ci accompagna dalle radici alle gemme graffiando il tronco con artigli allo stremo, sotto un cielo distopico e dispotico, che non dobbiamo però rinunciare a solcare, anche usando le ali della Poesia, usata come arma-contro, eppure anche come balsamo guaritore. Buona lettura.
*
Nasciamo orfani senza saperlo
figli di un tempo glabro e sterminato,
predestinati a compiere lo stesso viaggio
con appresso un bagaglio fragile
di rimpianti e di illusioni
attendiamo la resurrezione
nel re-incanto del nuovo mondo
*
 Invece si è continuato a costruire muri,
armandoli più del cemento,
impilando i diversi linguaggi,
non trovando una lingua comune
oltre la cascata, al di là della foce,
il fiume della parola si prosciuga
e non si riesce a comunicare.
*
Siamo pedine sulla scacchiera del destino
che portano avanti esistenze irrisolte
dimostrando di non avere capito niente
mentre si litiga per una briciola di spazio,
o per il tragitto di un atomo di gioia,
senza accorgersi
che fuori c’è un universo che piange
sui cocci dispersi dalle stelle.
*
 Io penso a Dio, all’uomo, all’amore
a un ventilatore per spazzare via le nuvole
che ristagnano su questi oggetti
di cui oggi siamo più che mai succubi,
adoratori di divinità pagane,
totem a cui ci inchiniamo
recitando i nuovi dogmi a memoria
impressi sugli schermi degli smartphones,
dov’è riposto un pensiero a cristalli liquidi,
una luce sintetica che sfiora
la banalità del nostro esistere.
*
 Abbandonati a noi stessi
siamo figli e nipoti
del progresso diventato regresso,
lo scialo di un benessere creduto eterno,
pensando alle risorse
come a una sorgente infinita,
mentre si era già spremuto tutto
senza risparmio.
*
 
Non ha fine questo lamento senza suono
e io provo rabbia per i giovani,
insieme a molto affetto,
per il buio in cui crescono,
i valori spesso trasfigurati,
inculcati con mezzi ipocriti
con parole che non sanno di niente.
 
 Quando li incontro per le strade
a volte mi ricordano tante rondini
appollaiate sui fili della luce,
sotto un temporale
che non vuole mai finire,
intrappolati dallo scrosciare degli eventi
che si abbattono sulle loro spalle
e restano fermi lì, senza spiccare il volo.
 
 E mi sento spesso come loro,
nonostante gli anni,
per questa aria da recluta della vita
che certi giorni ancora indosso,
con questa maledetta/benedetta educazione
la lezione di rispettare i più anziani
di non alzare troppo la voce.
*
 
 Gridano tante, troppe voci
forse mancano gli argomenti convincenti,
neppure i poeti trovano i versi giusti
incespicando come viandanti
e li puoi vedere al di là della siepe,
rincorrersi nei viottoli in discesa,
in cerca di un distico di sangue
senza riuscire a snidare il capoverso
da cui abbozzare una nuova strofa.
 
 Promettiamoci di mettere un punto fermo
di scavarci trincee intorno
per tentare di fermare quei gesti
che ci legano a questo presente/passato
in cui manca ogni rispetto
per la natura e l’uomo
*
 
Quindi, panta rei, si vada avanti,
perché esiste sempre la fantasia della vita
e menzogna e paura sono demoni
a cui si deve sbattere la porta in faccia
spegniamo questo troppo che ci affligge
dipingiamo il mondo con nuove tinte
 
 per allontanare la morte
per esorcizzare la notte.
*
da “Né padri né madri” Collana Perle poesia n. 198 direttore Roberto Carnero © Giuliano Ladolfi Editore s.r.l. www.ladolfieditore.it
Marco G. Maggi è nato a Tortona (AL) il 16 novembre 1968. Sue poesie sono state selezionate e pubblicate su numerose antologie e riviste letterarie, sia online che in cartaceo, e ha ottenuto importanti riconoscimenti in alcuni premi di poesia. Nel 2014 ha pubblicato la sua prima raccolta, intitolata “Punto di fuga”, (Puntoacapo Editrice). Del 2018 è la sua ultima silloge, “Il quadrato delle radici”, (Edizioni Ensemble – pref. di Claudio Fiorentini). Nel novembre 2020 ha pubblicato un poemetto tripartito, “Né padri né madri”, (Giuliano Ladolfi editore, pref. di Ivan Fedeli)

 

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