Sabatina Napolitano – Poesie da “Corsivo”

Da regina passo a schiava

Giovedì sera. Da regina passo a schiava bilocata.
Lo tengo da sopra i pantaloni, terribili incubi
potrebbero implorarmi da lontano, terribili incubi
potrebbero esser detti dietro quel cellulare.
La sua lingua sa di vino, nell’altra stanza
c’è un morto che mi protegge
mi dice come si piegano le cravatte e
come si stirano le camicie. Poi mi dice
che quando finalmente andrò in televisione
lui mi regalerà un anello. L’uomo non sente
più nulla dalla mia mano sinistra
lui la bacia, la stringe, la passa
sul mio monte di Venere
e fa formule per uccidere l’uomo.
Una volta ucciso la Vergine gli guarderà il cuore
e lo vedrà solo in due ritratti: il mio di scrittrice,
il suo di poeta. Cambia l’aria quando parla
lo tengo da dentro i pantaloni.
Penso al mio amore che scende come glassa
dentro un buon odore caldo dalla mia vagina
altri mangerebbero questa invenzione candida
sono in un libro di Calvino.
Voglio passargli la mano e poi toccarmi l’orecchio
mi sciolgo i capelli, mi siedo sopra di lui
voglio aggettivi. Voglio le sue riscritture.
Mi tocca i seni mentre entra e esce
senza permesso, come fosse casa sua, senza permesso,
senza permesso, senza permesso. Ci sono poeti morti
che mi spengono e accendono le candele, io salgo e scendo
senza permesso. Loro accendono e spengono candele
senza permesso, pregano. Pregano mentre i miei capelli
gli invadono il viso, l’amore entra poco ancora,
sento che è caldo, entra e esce, senza permesso.
Chiudo gli occhi, entra a casa, nella mia vagina
senza permesso, mi eccita davanti ai poeti americani,
senza permesso, ci sono nelle mie costole
almeno le voci di venti poete americane
lui spinge è buono senza permesso
vorrei mangiarlo ma è dentro non posso mangiarlo.

 

Ma non posso mangiarlo

Lui è buonissimo ma non posso mangiarlo
sta entrando caldo come un vascello in una grotta
per scomparire, sta entrando caldissimo.
Stringo perché lui dice sono
morbida, poi mi spinge i seni sul materasso
allora mi giro, voglio guardarlo, entra e esce geloso
appoggiandosi alla mia schiena.
È delicato e potente, mi confida cose che non vuole
come riassunti fatti a scuola da bambino,
li ha fatti di nascosto, poi nei palmi delle dita
abitano le pagine di queste riviste,
è venerdi: ho nella mia vagina un deserto
a cui lui sta portando acqua, ogni suo pelo
cerca di bere dal vostro sguardo.
Quando più le pareti sanno del suo sapore di uomo
così lui parla agli altri come se accadessero
limoni dal giardino
spinge caldo e accadono limoni
sento gli stilisti, sento stilisti che fanno abiti
come se ci fosse anche la moda
sento film come se ci fosse il cinema e teatri.
Poi sento che sta per venire, perché lui
è morbido ma è tutto innamorato e pieno
sento che è tutto innamorato e pieno
e risponde ai miei comandi,
allora lo trasformo dicendogli dal cuore
di venire come se non fosse mai venuto,
lo comando con l’amore.
Gli faccio sentire questi giardini di limoni
gli comando di farlo impazzire di piacere
di venire dentro, per dare acqua a questi limoni
io nasco ma voglio bere, voglio bere
ma non posso è dentro. Lo voglio bere.
Lo voglio bere con tutta me stessa,
gli tocco le mani implorandomi di farmi bere.

 

Tredici donne grasse

Ho sentito nella mano dell’uomo
un buco, nella mano sinistra.
Nel buco l’uomo aveva tredici donne grasse
che fottevano coi mariti coi suoi sacrifici
ho visto nel buco della mia mano sinistra
tredici donne che fanno sesso coi mariti
coi soldi dell’uomo.
Allora ho preso le tredici donne e le ho legate
ora fottono insieme tutte come in una orgia
e la mano dell’uomo è calda
nel suo destino non ci sono più
tredici donne grasse che fottono
sono chiuse in un palazzo maligno
come in una orgia e si scambiano i mariti,
c’è in un piano una donna grassa
che fotte coi soldi dell’uomo
seduta a una tavola maledetta
il fidanzato le dice di smettere
ma lei cade nel burrone dei malefatti
la donna grassa ha usato l’uomo
e i sacrifici della mia casa
per il successo e per i soldi
in una città d’acqua.
Nella mano dell’uomo c’è un dolore profondo
degli anni dell’assenza
lui vorrebbe essere liberato
da queste tredici donne grasse
allora io le chiudo nel palazzo
mentre lui resta fuori, sereno, con me.
Io voglio il sorriso dell’uomo
ma non quello di una delle tredici donne grasse
che gli ruba l’aura del sorriso
e lo risucchia mentre fa un pompino
al suo ragazzo. Io prendo quella donna
e la getto in una stanza
il sorriso di mio marito
è protetto da me
contro le ladre di felicità.
La storia non esiste
esiste solo la sopraffazione
la storia non esiste
io pulisco la maglia di mio marito
e gli accarezzo i capelli. La storia
non esiste se lui non può essere
felice per davvero con me.
Tra le tredici donne grasse ce n’è una malata mentale:
le malate sono due, la prima gira in topless
e dice che il suicidio è una cosa che succede.
Il marito desidera farsi prete o bramano
io la chiudo nel palazzo guardandosi allo specchio
della sua disperazione.
Mentre sento che mi libero i piedi
e dai miei piedi una energia circola,
la pazza col marito bramano
perde le mani e lascia a mio marito
i suoi fiori per me. La pazza nel letto
guarda al soffitto e pensa a quanto
è stata stupida a sbagliare.
Mio marito ha nelle mani
dei fiori vivi per me ora e liberi.

 

Origami

In una informazione fatta di carta
ho scritto un libro che si chiama “Origami”
e ho dedicato il libro a Briciola.
Poi quando resto da sola in stanza senza di lui
nessun sonno mi sconvolge,
il pubblico mi ha amata da subito.
Il primo libro è stato tradotto
e ha riempito la sua calma
creando cose ottime per il mondo.
Lui è geloso di ogni uomo
con cui collaboro, è geloso di ogni invenzione,
di ogni ispirazione, vuole tutto.
Gli ho dato tutto, parlo col suo sguardo,
non lascio accadere che nulla di invisibile
accada senza di lui.
Le domeniche andavano veloci
così il mio romanzo
cominciò a riempire la televisione,
le pagine dei giornali
io lo accoglievo digerirmi e penetrarmi
ma lui era geloso anche del romanzo
che era un suo frutto come tutti i miei altri.

 

Trent’anni

Leggo un libro di Simone de Beauvoir.
Lui sta guidando, tengo la borsa tra le mani.
L’amore è anche quando la mia mente
si prolunga nella sua.
Quando mi fissa, mentre parlo
sono incapace di guardare qualcosa altro, dentro.
Mi fissa straniero ma dentro mi gravida come un figlio.
Il figlio mi interroga come quando da piccola
ballavo danza classica, o andavo a nuoto.
Il figlio mi interroga come a lezione di tango.
Cominciavo a sentire l’occhio del figlio geloso.
Poi al figlio geloso si è aggiunta la moglie del figlio gelosa.
Mentre io e il padre diventavamo vecchi veramente,
dopo più di trent’anni vissuti insieme,
e lui da vecchio ancora stava a rassettare mappe,
a parlare degli stati a fissarmi erotico e straniero
ancora come dopo trent’anni.
Sapeva impressionarmi come le prime notti,
parlava cinico di Fortini.
Sentiva l’occhio del figlio e il figlio l’occhio del padre,
ero in bilico nei loro eccessi,
ma rimanevano vivi, erano sempre vivi.

 

Come un figlio

Non voglio mai più litigare con te.
Apro ancora questo libro di notte chiedendomi
se mi stai ascoltando. Voglio maledire
l’ultima ladra. Ma ci sei tu alto, e dolce
alle porte di questa notte mite
quando ho perso tutto, avrei voluto solo
sentire il mio nome pronunciato dalle tue labbra.
Non ci sono canzoni che sanno dirlo.
Nonna cuci un filo per me, metti un ago
nel buco di questo palazzo, al modo in cui
si congiungono i destini e gli eventi.
Nella sua cucina voglio che mi chiami,
e voglio che nelle sue camicie
lui pensi di me quello che è di una moglie.
Mancano tre giorni al nostro matrimonio,
muoiono le ladre, prendi un tuo ricordo
di giugno mettilo sul mio velo come un figlio.

 

A scuola

Suona la campanella. Non so chi mi sta vicino.
Lo zaino pesa, mi pesa la testa,
l’odore delle persone dal pulman
mi sale nei capelli. Nell’androne
c’è la custode che mi aspetta,
salgo in questo odore mio
e ci sono tredici finestre chiuse. Salgo felice:
c’è l’ex moglie e le sue voglie
di violentarla mentre la spinge ad andare con altri,
c’è la candida unita a lui
per mezzo di una forma inodore
e insapore da regina delle smorfie.
C’è quella che sfrutta il tempo,
l’altra il sorriso di quando è stupido
e finge di fare lo stupido,
c’è quella che punta sul narcisismo degli uomini.
C’è quella che lo prende dal lato
morboso e dalla depressione.
C’è quella che lo stimola
provocandolo ma non come quella
che raccoglie il narcisismo di tutti
dicendo che ha talento, c’è quella
che lo sfrutta per il marketing letterario
e i premi italiani
c’è quella che scrive libri banali
e l’altra che gli chiede con autorevolezza
di raccomandarla, c’è quella che gli dà
alcune fotografie ogni giorno
nonostante abbia marito e figli
ma lui è il passatempo delle tredici
quindi non c’è un motivo per esimersi.
É buono con tutte e dà a tutte il pane.
Entro a scuola. Sono felice e di felicità
ho i pensieri gonfi, lui è un uomo
e sta cucendo il romanzo di tredici mogli.
Ci sono altre che scivolano,
io salgo le scale. Amiche come loro
non ne troverò più. C’è quella che sfrutta
il tempo che insieme alla critica
perduta nelle smorfie mi annoia
è irrilevante. Salgo le scale
voglio studiare una voce mi spinge
sono chiusa in un profumo intenso
lui miete forme di vite,
cuce romanzi che poi avrei trovato.
Romanzi dispersi, insensati, inutili.
Da quelle scale mi avrebbe sorriso lui
da una parte del mondo,
camminando con uno zaino pieno
di tredici romanzi. Scritti per non perdere
sé stesso e per odiarsi meglio.
Sono io al liceo, troppo giovane per capire
che lui perdeva tempo
nel costruire tredici forme di vite
un modo per chiudersi inerte,
un modo come gli altri per non rendersi felice.
Ora tutte funzionano:
le luci che entrano su questo piano
sulla destra il laboratorio,
trovo ancora me stessa qui, nei punti
che le tredici donne non possono dire di me
tutte le tredici non fanno
una particolare bellezza. Lui è solo.
Nessuna delle tredici donne lo guarisce.
Lui ha una morte che ha scritto in ognuno
dei tredici romanzi, una morte
da cui non riesce a separarsi
anche se é così facile ammettere
di aver sbagliato tutto.
Prova un piacere particolare
nel potersi rendere triste
ma la felicità è possibile.
Studio modi per dargli la vita
mentre lui ricama le sue morti.
Ogni giorno prendo il mio zaino
lo zaino di una moglie
pieno di libri di vita,
lui ogni giorno comincia uno a caso
dei tredici romanzi della disperazione.
Così che la morte diventa il suo mutuo
soccorso al buio, e ogni giorno
aprendomi come vita gli dico
di smetterla e lo prego
di rivivermi se può avvolto
di verità e misura, ogni mattina
apro i miei libri puri, metto nuove maglie
e nuove voglie. Ma lui ogni giorno
ha pronto uno zaino maledetto
da cui saltano fuori le pagine
di tredici romanzi che lo assorbono
rubandogli la vita.
Ogni giorno sono la lista di tredici donne
dalle forme buone e possibili
mie per amarlo ed essere calda e pronta.
Quando sto per andargli incontro,
lui torna giovane di dieci anni
si siede e prende uno dei suoi tredici romanzi.
Così va avanti, mette i romanzi nella natura
si allontana da sé stesso, si nega l’anima
e la vita, suona il cambio dell’ora.
Guardo fuori le mura del monastero,
non so più pregare dio di bruciargli
lo zaino dei tredici romanzi
sono maledizioni che vogliono cambiarlo
desolazioni, che lo rincorreranno a vita.
Tredici forme: quella che lo contorce
nel narcisismo come con tutti gli uomini,
quella che lo spinge per i like,
quella che ha amato e lo distrugge.
Non c’è alba che non distrugga coi
suoi romanzi. Sono tredici. Ogni giorno
ne apre uno a volte anche più di tre
insieme e sale le scale guardandomi
come un marito che chiede aiuto.

 

Sabatina Napolitano è nata il 14 maggio del 1989 a La Maddalena, in Sardegna. È poeta, scrittrice, critica. Ha pubblicato sei libri di poesia, una prefazione, una silloge in una antologia, recensisce e intervista attivamente autori di poesia, narrativa e saggistica su blog, lit-blog e riviste. Ha scritto un romanzo ancora inedito dal titolo Origami, verrà pubblicato a breve, ne ha parlato nel suo blog https://sabatinatableauvivant.wordpress.com/romanzi/

 

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