Salvatore Quasimodo / Caffè Letterario

Già vola il fiore magro

Non saprò nulla della mia vita,
oscuro monotono sangue.

Non saprò chi amavo, chi amo,
ora che qui stretto, ridotto alle mie membra,
nel guasto vento di marzo
enumero i mali dei giorni decifrati.

Già vola il fiore magro
dai rami. E io attendo
la pazienza del suo volo irrevocabile.

 

Ancora un verde fiume

Ancora un verde fiume mi rapina
e concordia d’erbe e pioppi,
ove s’oblia lume di neve morta.

E qui nella notte, dolce agnello
ha urlato con la testa di sangue:

diluvia in quel grido il tempo
dei lunghi lupi invernali,
del pozzo patria del tuono.

(da Nuove Poesie, 1936-1942)

 

Alla notte
Dalla tua matrice
io salgo immemore
e piango.

Camminano angeli, muti
con me; non hanno respiro le cose;
in pietra mutata ogni voce,
silenzio di cieli sepolti.

Il primo tuo uomo
non sa, ma dolora.

 

Metamorfosi nell’urna del Santo

I morti maturano,
il mio cuore con essi.
Pietà di sé
nell’ultimo umore ha la terra.

Muove nei vetri dell’urna
una luce d’alberi lacustri;
mi devasta oscura mutazione,
santo ignoto: gemono al seme sparso
larve verdi:
il mio volto è loro primavera.

Nasce una memoria di buio
in fondo a pozzi murati,
un’eco di timpani sepolti:

sono la tua reliquia
patita.

Foce del fiume Roja

Un vento grave d’ottoni
mortifica il mio canto,
e tu soffri a grembo aperto
la voce disumana.

Da me divisa s’autunna
ai moti estremi giovinezza
e dichina.

La sera è qui, venuta ultima,
uno strazio d’albatri;
il greto ha tonfi, sulla foce,
amari, contagio d’acque desolate.

Lievita la mia vita di caduto,
esilio morituro.

Dammi il mio giorno

Dammi il mio giorno;
ch’io mi cerchi ancora
un volto d’anni sopito
che un cavo d’acque
riporti in trasparenza,
e ch’io pianga amore di me stesso.

Ti cammino sul cuore,
ed è un trovarsi d’astri
in arcipelaghi insonni,
notte, fraterni a me
fossile emerso da uno stanco flutto;

un incurvarsi d’orbite segrete
dove siamo fitti
coi macigni e l’erbe.

 

(da Oboe sommerso, 1930-1932)

 

Scritto forse su una tomba

Qui lontani da tutti, il sole batte
sui tuoi capelli e vi riaccende il miele,
e a noi vivi ricorda dal suo arbusto
già l’ultima cicala dell’estate,
e la sirena che ulula profonda
l’allarme sulla pianura lombarda.
O voci arse dall’aria, che volete?
Ancora sale la noia dalla terra.

(da Giorno dopo giorno, 1947)

Salvatore Quasimodo nasce a Modica (RG) nel 1901. Poeta, traduttore e critico letterario, ottiene nel 1941 la cattedra di Letteratura italiana presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Legato ai circoli culturali e agli intellettuali più prestigiosi del suo tempo, collabora con diverse riviste letterarie. Durante la carriera gli vengono conferiti premi, onorificenze e, nel 1959, il Nobel per la letteratura. Massimo esponente dell’ermetismo italiano, ha lasciato diverse raccolte di poesie: fra le più celebri, “Acque e terre” (1930), “Oboe sommerso” (1932),”Ed è subito sera” (1942), “Giorno dopo giorno” (1947). Della sua intensa attività di traduttore ci restano versioni di classici greci e latini, di opere teatrali di Shakespeare e Moliére e del Vangelo di Giovanni. E’ morto a Napoli nel 1968.

Donatella Pezzino

Immagine: “Crystal” by Josef Sima

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