Sangue e terra

 

la piazza nuda, livida, meticolosa. un calcolo di ossa invitte, l’ora maieutica. e la panchina fredda, una posa di marmo col cappello di paglia. De Chirico sospetto.
nemmeno la mano che ti porta, l’altrove inciso sul bastone, il fiato, anzitutto.
sei di paese sopra la montagna, il brano altrimenti levato, quel piatto di pioggia che accompagna l’odore muto del tempo appena pensi la parola tempo e l’aria si spacca.
scendi piano da un limbo numinoso di case risucchiate, la tua origine sola, dorata, contadina, che ridi e si contrae, fino all’ultimo buio:
tra tutti, il verbo ricomporre. dal sangue alla parola, dalla parola al sangue. minuscoli fuochi e calcinacci tirati via dagli occhi, dai nasi dalle tasche.
piantagioni di rame le parole, teorie della notte quando è fatica riannodarsi e la fame è uno scavo, ancora e ancora.
nemmeno il piede che misura le onde, le attende. oscilla solo il pendolo d’incenso. solo allora ti sfiori, col piccolo orologio d’oro al taschino, senature di nomi scomparsi, spaventi di altezze impronunciabili ancora a scivolare, a battere, a significare.

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