IL SENSO DEL “MERAVIGLIOSO”

Il mondo senza membra ci riscalda
nella negazione pomeridiana, la fanciulla
che rinuncia alla veglia per
lavorare nel sonno e modificare
le immagini nel compiacimento
esiziale degli Dei fatti uomini dalle
allegre scricchiolanti nocche. E l’occhio,
ancora l’occhio facitore di desideri meccanici
urla l’antisfericità del bisogno, sempre
nel sogno valutato per saccenti ipermetropie.

Mobile, la strada, è corpo-topos d’ebbrezza
superando perfino le Madri che estraggono
dalle stanze ciò che è conservazione.
Cercare a più non posso altri varchi
bevendo follie altre dal Mito, non compiacendosi
di alcuna meraviglia poiché
al passeggio, il momento in cui l’umano
connesso giunge alla dispersione,
si partorisce il mostro della storia. Allora
è Meravigliosa immanenza, pura e fastidiosa
all’immobilismo, trasudata dalle intercapedini
dell’infinito. Allora, il senso di amare odiare
per secondi di assoluto ‘vedere’, il de-privato
il ‘non è’ il ‘non fu’ il corpo pieno
della memoria fra le rovine risibili; ed è
corpo continuo nell’espansione
della città affinché svanisca il tempo
sulla continua città e sulle transeunti città,
il tempo fotografico sulle urne sgretolando
commiati sulle umane intraprese

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