Singapore by night di Andre Folco Lasdo

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Insomma tutte le storie che si rispettano iniziano con qualcuno che sta bevendo qualcosa in un certo posto. Allora comincerò col dire che stavo succhiando birra attaccato ad una tetta di vetro, in un certo posto. L’ora era tarda e i musi avevano l’aria di chi ha gareggiato tutta la sera a colpi di drink per non avere più nulla per cui gareggiare. Sento una forte gomitata ai reni, scarto un passo di lato e mi volto. Quando ti prendono così alla schiena il colpo successivo è un gancio da farti schiantare in terra come il porco colpito al cervello dalla sparachiodi, ma stavolta non succede niente. Chi ti vedo. Ti vedo un uomo che pensavo fosse stiracchiato in un loculo da almeno dieci anni. Avevo sentito chiacchiere di orologi falsi e coltellacci nella pancia giù in qualche vicolo del sud. Invece è lui, con un bel giaccone imbottito e nessun manico che spunta dalle piume d’oca. Breve scambio di smorfie e un altro giro da bere in nome delle vecchie baraccate. “Dicevano che eri morto” faccio io. Quello apre la cerniera, solleva il maglione e mi mostra la pancia magra con una serie di incisioni biancastre sparse sull’addome che sembrano una costellazione di stelle. “continua a pensarlo” risponde con un ghigno alla William Dafoe. L’aspetto è sempre lo stesso, forse qualche ciuffo di capelli in meno sopra la fronte e le gote più scavate. Occhi sporgenti e larghe pupille nere come due palle da biliardo numero 8 avvitate sul cranio. Denti in titanio, braccia magre e nervose, mani grosse, anello d’oro con testa di tigre.
Fra un sorsata e l’altra l’amico ritrovato mi dice che ha girato il mondo.
Che il mondo è facile se c’hai i soldi, che puoi toglierli le mutande e infilargli un dito in culo se disponi di buone palle. Sono le tre di notte e l’ultima cosa che voglio sentire è la parola Mondo, seguita da Palle. Comunque è sempre l’attacco di una storia e le storie sono come una corsa in macchina a fari spenti che non sai mai quando arriverà la curva e la benzina è gratis. Se poi sono storie interessanti hai anche parecchi cavalli sotto al culo da far schiumare.
Quindi non ricorda come o perché ma un giorno è finito sopra una nave. Una di quelle grosse come città che fanno il giro del globo e dentro ci sta di tutto. Lo mettono a pulire finestre, cessi e pavimenti. Gli danno una cuccetta, tre pasti caldi al dì e lo stipendio ogni sette giorni. Il discorso mansioni lavorative si protrae per mezzo minuto e poi s’alza il gran sipario su baby puttane free e Singapore by night. Con pollice e indice uniti mima quella che dovrebbe essere una vagina, ci infila dentro la punta della lingua e comincia ad agitarla. Sussurra “seta, amico, quelle bambine sono fatte di seta”. Così mi descrive come sono certi bordelli di Singapore, che più che un puttanaio pare ‘na scuola materna dove tu entri e scegli la creatura da portarti in camera. Maschietto o femminuccia, conforme ai gusti, ai desideri, alla caratura del portafoglio. Adesso comincia a sudare l’amico. Ha le fauci ben oliate, le narici dilatate come uno che ha una gran fame e non riesce a smettere di dirti quanto sia gustoso e tenero il controfiletto al sangue. Insomma una notte se ne va a spasso con il capo degli elettricisti di bordo, un ex-ruffiano francese con la faccia da ebreo, scappato da Marsiglia… Al che mi viene da ridere e rido di gusto, quello si gonfia e gesticola assai, tutto convinto che la sua avventura sia una pacchia per chi lo ascolta. Io invece rido perché in ogni storia di criminalità e puttane spunta sempre fuori il marsigliese in fuga, solo che questo ha pure la faccia da ebreo! Ed io che con la mia ignoranza in spalla ci sono anche stato in Francia, ma mica se ne vanno in giro per i boulveard col cartellino sulla schiena dove ci sta scritto, che ne so: “mia madre era haitiana e mio padre di Bourdeax, ecco perché ho la faccia da francese creolo, abbiate pazienza”.
“ci stanno le madri, no?” continua lui “ci stanno le madri, tu fai un cenno a quella che più ti ispira, la madre la prende per mano e ci vai dietro, no? quella ti porta in una baracca, tu entri con la mocciosa e ti fa pure l’inchino, capito che storia?” Insomma mi guardo intorno. Deglutisco birra calda. Ho qualche brivido. Siamo una dozzina di persone dentro questo locale. Metà sono sbronzi e l’altra metà probabilmente sta studiando un sistema per uccidersi senza fare troppo rumore. Questo tizio qui davanti mi sta parlando di scopare ragazzine e a nessuno frega un cazzo, in buona sostanza. Realizzo che va tutto bene. Che la situazione è ok. Che siamo animali vestiti alla meglio, con l’accendino e il mazzo di chiavi in una tasca dei pantaloni. Tutti sparsi sopra questo vecchio sasso che gira intorno al fuoco sul camino. A che pro rabbrividire, nausearsi o stupirsi? Dove cazzo c’è scritto che dobbiamo coltivare ciclamini e fare rituali orgiastici nell’isola di Wight? Ma forse sono anche un poco ubriaco e Cioran non è mai stato un buon consigliere. Così lascio che le voci parlino. E le voci si fanno vicine, viscide e insistenti tanto da alitarmi nell’orecchio. Potrei spaccare questo boccale sul bancone e con una scheggia mozzare quella lingua. Ma certe lingue sono code di lucertola e ricrescono sempre. Potrei cacciargli una mano in gola e tirargliela fuori di mezzo metro, fargli fare tre giri intorno al collo e strangolare quella voce. Ma me ne sto immobile. Sto ad osservare le scene descritte nel suo diario di bordo. E nelle scene c’è una mano minuta e questa mano stringe una minchia bella dura e gonfia. Ci sono seni che non hanno forme e forme che non hanno sesso. Un buco è un buco e sen ben stretto il prezzo è giusto. Se le braccia fanno resistenza va ancora meglio, vuol dire che è merce fresca. C’è un cinese di guardia fuori da una baracca con un rasoio nella camicia e una busta di eroina gialla. Ci sono insetti morti e chiazze di sudore sui materassi. E alla fine cosa resta?
Un corpo di 35 kg. arrotolato dentro una banconota da 50 dollari.
“ma sono bambini, cristo…” L’amico dice che gli arabi se le sposano le bambine di 13 anni. Dice che in messico per 100 pezzi un bambino ti apre la gola mentre dormi nella camera del tuo hotel. Che in Nigeria i bambini sanno smontare un fucile automatico in 20 secondi. “Si fottano i bambini e io mi fotto con loro” e termina con un rutto alcoolico. Finisco il mio goccio e lo saluto.
Un tempo andavamo nelle discoteche io e questo tizio. Ma il tempo ha buoni denti e quando mastica riduce tutto in poltiglia. Ho una levataccia e sono stanco ma lui insiste. C’è dell’altro, c’è sempre dell’altro… Dico che non ho bisogno di affondare il gomito nello sterco per capire che si tratta di merda. Lo liquido con un cenno e ci vediamo fra altri 10 anni, figlio di un cane. Ma nemmeno di un cane, tu sei figlio di un uomo come me, tanto per far quadrare i conti. Che quella costellazione che ti porti in pancia si faccia cancro. E che un buco nero ti si mangi lo stomaco. Che la prossima volta le lame arrivino a squarciare il fondo del tuo secchio e che tutta l’acqua sporca se ne esca di fuori, con la tua anima marcia.
A casa mi siedo nel letto. Mi tolgo le scarpe. Sfilo i calzini.
Mi cavo il cuore e lo appoggio sul comodino, vicino alla sveglia.
Certe notti i suoi singhiozzi non mi fanno dormire. Questa è una di quelle.

Racconto di Andre Folco Lasdo

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