Mi giunse il vento,
mi giunse e spinse forte
Quasi dolore pietrificato quegli occhi
come vero scintillante ebano nero
l’afflitto e magnifico cordoglio
Ed il non pensare ora, che siano cadute
le remore o le sentenze al giusto, roboanti
nell’avviluppato scodinzolio delle belle tue ciglia
e come mentire leccando il tacco d’una scarpa
Il non credere al mio fare; è questo che sfugge alle percezioni delle pupille
Ché non v’è storia, non v’è armonia sulle scoscese alture della mia nobiltà
Questo affogare denso. Senza eguali le sembianze,
acri ed acri di semitoni privi di corde
dov’è la mia Arpa che risuona in grovigli d’accordi
Del grigio losco, la purezza non s’addice allo spiffero della mia anima
E vi sussulta il nero, in una fola di bianco isterico lungo le sconcezze delle mia persona
E non odo, e non escludo, solo divengo.
Alle solitarie litanie Dionisiache sto morbido
mentre il vino regge confronto cedendo il passo allo sbronzo
Ora qui, [quattro passi quattro] lungo il sentiero, con me presto!
Racchiudi la tua mano, ora, una volta ancora,
ed esaspera nell’espletare contrito
il chiarore delle mie Albe
ed il segreto delle mie notti
Racchiudile strette nel pugno e gettale via
ché poco conta la solitaria scintilla
poco conta questa mia vita
se il bagliore di cui tu necessiti
non sono io
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