TACTIL (Taglio cesareo)

Quando ho inciso la cute che ti celava
al mondo con la mia lama
dal manico celeste di plastica
cinese e ho scavato un solco
impavido scarlatto
alla ricerca del tuo corpo
sepolto ignaro
tra gli intestini di tua madre,
sapevo già che sarei stato il primo
ad accarezzati il capo
rivestito di capelli incerti,
primo a prenderti in collo e poi
lasciarti sul fianco abbandonato
con le tue fattezze da umano
e le posture sgraziate
di uno che arriva nudo dal mistero
e fa fatica a respirare.
E pensavo, mentre mettevo in fila
i gesti l’uno all’altro ed ero rapido
come vuole la corretta procedura,
quante volte ancora
quante ti sarebbe capitato
di essere toccato percosso
manipolato scosso accarezzato
fino alla fine fino al cambio
dell’ultimo panno pisciato
tuo malgrado e quante mani
dopo le mie quante guance
quante natiche avresti sfiorato
ancora volendolo o per caso
in una coda di metropolitana
o lungo i camminamenti
di un quartiere non ancora edificato.
E presentivo disgregarsi,
mentre t’affidavo ad altre mani,
le tue mani e le mie
e le altre
che ti si sarebbero posate un giorno
in fronte come termometri alati
o t’avrebbero cercato il sesso o la stretta
per suggellare patti
e rimanere nulla infine
nulla di tutti questi contatti di queste
storie tattili fugaci
di questi abbracci.
Ora qualcuno mi chiede che cosa sia
che m’ha spillato le due gocce
dalle ciglia che intorno tutti
eccetto te, forse, hanno notato
e ognuno, va da sé, ha equivocato.
Certo non lo stanco officio
della nascita, questo lo capirai,
e nemmeno la scomparsa d’ogni cosa
che insieme a te nasceva,
ma la certezza invece come un odore
improvviso di metano da un fornello
spento che ognuno di coloro
che t’avrebbero toccato
io per primo e gli altri dopo
mai di te avrebbero compreso niente
e tu di loro
fino ai titoli di coda
niente di niente.

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