Terminal

1) out/in Time

Domani e domani e domani,
per un giorno ancora
saremo qui a contare. Senza
direzione o via oscura,
gli iniziati sanno… Anche
la musica piange, pure perviene
ad un canto virile, quasi un consiglio.
Il mio essere schiavo alle
catene dell’oggi, ieri,
domani è tutto mano,
timone, prua. Così
tangibili i silos del porto
così lontano e l’io,
occhi, denti stretti… non
può entrare… Le mura
hanno bastioni d’acqua.
La mia essenza dirige verso
l’alto mare
,
un largo periglio per entrare;
ora l’essere è timone, elica,
il battito del motore
tamburo e cuore.
Timone tutto sotto,
volgo la prua al porto.
Sopra me, cormorani
signori del vento, mi scortano.
Ci lasciamo alle spalle
i dubbi di oggi

 

2) Agguato

L’orgoglio mezzo vestito
senza coraggio di nudità,
come si aprisse una nuova era.
Ma è soltanto un abbaglio.
Ci si avvoltola nella mediocritate
rimestando la compiutezza
del verso.
Ne consegue il beffardo bricolage
puntuale ad ogni alba che è
pur sempre quella, senza
possibilità di appello. E stanno
in agguato le episinalefe che mi provocano
un riso ἀρχέτυπον, o le ipometrie discusse
tra i materassi sudati (anche d’inverno).

(Tra i dubbi e le domande che mi pongo
mi logora e m’assilla assai lo iato,
che non badando al suo significato
in testa sfoggia impavido un dittongo.)

Si irrora merda sui cocci che formavano
la suasività dei simboli. Qualcuno
sa ancora che farsene. E sono
gli incazzati più silenziosi,
facce corruttibili ai proclami
degli imbonitori d’ogni evo;
occhi bassi malcelanti vergogne
da lanterne cinesi, strappi di vene dissolte

 

3) Terminal

Binari vivi binari in agonia
come le ore buie degli arrivi,
o i ritorni
perché la curva di metallo
è il Graal trovato nella notte,
e la notte non è noia
appena per segno o per miracolo.
Qui, in questo mare, non si muore ancora.
Almeno per queste ore.
Siamo tra pareti più nude di noi
nel ritmo di arrivi e
partenze soopra i toni.
Ma c’erano vene d’afa fuori del discount,
si perdevano spalancandosi ad estuario
sebbene il pane fosse calmierato soltanto
in quell’occasione ma qualcuno sapeva intuire
la divisibilità dell’atomo, fra un’elemosina
e un calcio in culo, perché la branda
non poteva contenere troppe braccia affamate.
Le briciole sapevano di napalm allorché
vennero sparse corolle di panteismo in vista
di cuori palpitanti nell’Agorà, e
gli amori profetizzati preludevano la perdizione
d’ogni ritegno quando cherubini jazzofili
si misero di buon buzzo al trasporto
d’oceani nei forellini di rena

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