Umberto Saba / Caffè letterario

Amai

Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica, difficile del mondo.

Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.

Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.

*

Sovrumana dolcezza

Sovrumana dolcezza
io so, che ti farà i begli occhi chiudere
come la morte.

Se tutti i succhi della primavera
fossero entrati nel mio vecchio tronco,
per farlo rifiorire anche una volta,
non tutto il bene sentirei che sento
solo a guardarti, ad aver te vicina,
a seguire ogni tuo gesto, ogni modo
tuo di essere, ogni tuo piccolo atto.
E se vicina non t’ho, se a te in alta
solitudine penso, più infuocato
serpeggia nelle mie vene il pensiero
della carne, il presagio

dell’amara dolcezza,
che so che ti farà i begli occhi chiudere
come la morte.

*

Inverno

È notte, inverno rovinoso. Un poco
sollevi le tendine, e guardi. Vibrano
i tuoi capelli, selvaggi, la gioia
ti dilata improvvisa l’occhio nero;
che quello che hai veduto – era un’immagine
della fine del mondo – ti conforta
l’intimo cuore, lo fa caldo e pago.
Un uomo si avventura per un lago
di ghiaccio, sotto una lampada storta.

*

Sera di febbraio

Spunta la luna.
Nel viale è ancora
giorno, una sera che rapida cala.
Indifferente gioventù s’incontra;
sbanda a povere mete.
Ed è il pensiero
della morte, che, in fine, aiuta a vivere.

*

La capra

Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava .
Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.

*

Neve

Neve che turbini in alto ed avvolgi
le cose di un tacito manto,
una creatura di pianto
vedo per te sorridere; un baleno
d’allegrezza che il mesto viso illumini,
e agli occhi miei come un tesoro scopri.
Neve che cadi dall’alto e noi copri,
coprici ancora, all’infinito. Imbianca
la città con le case e con le chiese,
il porto con le navi; le distese
dei mari, i prati agghiaccia; della Terra
fa’, tu augusta e pudica, un astro spento,
una gran pace di morte. E che tale
essa rimanga un tempo interminato,
un lungo volger d’evi.
Il risveglio,
pensa il risveglio – noi due soli – in tanto
squallore.
In cielo
gli angeli con le trombe, in cuore acute
dilaceranti nostalgie, ridesti
vaghi ricordi, e piangere d’amore.

*

Quest’anno…

Quest’anno la partenza delle rondini
mi stringerà, per un pensiero, il cuore.
Poi stornelli faranno alto clamore
sugli alberi al ritrovo del viale
XX Settembre. Poi al lungo male
dell’inverno compagni avrò qui solo
quel pensiero, e sui tetti il bruno passero.
Alla mia solitudine le rondini
mancheranno, e ai miei dì tardi l’amore.

(da Il Canzoniere, Torino, Einaudi, 1961)

Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli, nasce a Trieste nel 1883. Studia all’Università di Pisa, seguendo dapprima i corsi di letteratura e poi quelli di archeologia, tedesco e latino. In questo periodo comincia a pubblicare le sue prime opere (lettere e poesie) sulla rivista “Il Lavoratore” e frequenta gli ambienti letterari legati a “La Voce”. La sua  prima raccolta di poesie esce nel 1911.

Nel corso della sua vita collabora con giornali e riviste, come il Resto del Carlino e Primo tempo. Soggetto a crisi psicologiche, per le quali viene più volte ricoverato, Saba si sottopone, negli anni Trenta, ad un’accurata analisi psicoanalitica, con importanti ripercussioni sulla sua vena poetica. Il suo talento e la sua capacità di innovazione gli valgono prestigiosi riconoscimenti e  l’unanime apprezzamento dei critici. Muore nel 1957.

Tra i suoi scritti maggiori ricordiamo le raccolte poetiche La serena disperazione (1920), Preludio e fughe (1928), Il Canzoniere (opera poetica di tutta una vita), il romanzo Ernesto (1975) e un ricco epistolario.

La poesia di Umberto Saba si distingue per uno stile semplice, chiaro, minimale e quotidiano sia nei temi che nel linguaggio. La condizione esistenziale vi è descritta anch’essa nella sua dimensione quotidiana: l’uomo della poetica di Saba, infatti, è quello della vita di tutti i giorni, delle situazioni ordinarie, delle strade e dei caffè cittadini. Molto forte è l’influenza della psicanalisi, tramite la quale Saba trasforma la poesia in uno strumento di autochiarificazione, onde rintracciare i traumi all’origine delle nevrosi e delle lacerazioni interiori.

Donatella Pezzino

Immagine: “Tramonto”, dipinto di Betto Lotti ( 1965).

Loading

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.