Rewind

La mia mente filmò tutto. Le persiane abbassate, il sole che filtrava sghignazzando nella stanza di una veglia all’ombra della credenza in arte povera. Il cigolio dei cassetti faceva trasalire ogni qualvolta serviva un tovagliolino. Diamine pensavo, ma non si poteva usare semplicemente uno scottex, risparmiando un supplizio alle orecchie già pesantemente provate dalla nenia dei bisbigli della gente.

Era un bravo lavoratore.

Se ne vanno sempre i migliori.

Spero trovi la pace.

Così sfortunato.                                                                                               BASTA!!!                                                                                                                   Fu uno stupro ai nervi premeditato, ed io, non ressi più l’alfabeto umano. Strano come si faccia parlare più da morto che non da vivo. Dov’erano sospese le belle parole prima di guardarti dormire dentro quel guscio di faggio? Io sapevo dei tuoi soli spenti, di quando nascondevi il viso dietro una barba incolta per mesi, quei solchi scavati e non dal tempo. Ora, so anche cosa c’era nel cassetto del tuo comodino, una botta in testa a bestemmiare una realtà che mi lasciò impotente nel preciso istante in cui mi trovai a stringere tra le mani uno dei tanti flaconi vuoti di Reyataz. Ecco, il nastro, in quel momento si riavvolse tutto e senza pietà. Capii che quella     ” cosa ” era più grande di te. Capii che il tuo sorriso di circostanza nascondeva l’inferno dentro, e osservarti in quella posa composta accompagnata da rosari incalzanti mi deflagrò nel cervello. Avrei voluto scuoterti, gridare tutta la rabbia che avevo in corpo, che poi non era diretta a te ma alla macabra compostezza del silenzio. Sì, il silenzio che ti sei legato addosso per sempre, il silenzio che ha confezionato un muro di gomma, l’immunità verso il mondo, e tu, non immune da te stesso, febbre dopo febbre, chili dopo chili, rintanato in una sorta di ghetto civilizzato, nel martirio dell’intelletto, fuori e dentro dai centri-dispenser con uno scomodo cartellino a circolarti nel sangue.                                                        Quella ” cosa ” innominabile  e r a   p i ù   g r a n d e   d i   t e  e mi chiedo come tu abbia fatto a sorridere alla beffa con così tanta eleganza e dignità. Mi chiedo, come mai i rintocchi delle campane che ti accompagnarono alla sepoltura risultarono davvero stonati al cospetto di una vita che ha fatto baccano senza poi così tante parole.

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