Gillette – Il meglio per un Uomo – (di Redent)

Se qualcosa proprio non andava giù ultimamente, era quel senso di inadeguato.
Quello strano logorio del mattino, mentre scivolava la schifosa lametta sulla pelle e il grigio della barba spariva, lasciando ancora qualche centimetro arrossato di giovane speranza. Eppure un tempo di quel grigio si agognava il momento. Incredibile come le prospettive della vita, cambino in continuazione e quasi sempre ahimè, in modo più scuro e triste.
Mi raccontavo allo specchio tutte le mattine, la fiaba del bambino buono.
Di quello che era riuscito tutto sommato a fare qualche schifo di passo in questo mondo.
Che nonostante la sventura infantile, la disgrazia crepuscolare adolescenziale, un pezzo alla volta, un tacco punta, cazzo.
Ma nonostante le fiabe che si sa, sono per i bimbi che dormono, per i bimbi che hanno le coperte calde e le mamme splendenti e azzurre, qualcosa nella rasatura proprio non scivolava. Un po’come quei bellissimi peli ribelli che sfidano la maledetta forza di gravità e tendono verso l’alto dal collo.
Una goduria quei fottuti peletti, come lo fai il pelo e contro pelo se quelli si girano al contrario?
Tintinnava la voce del mattino, con la moto di sotto in garage che aspettava fredda, il proprio cavaliere armato di casco e valigetta e i tanti buoni propositi per il grigio ridondante lavoro che sperperava ogni secondo della vita rimasta. Ché sì, in fondo un paio di sgommate e qualche penna, magari mi risollevavano la giornata.
La mia moto… Il piccolo cuore caldo che ancora  palpita da qualche parte…
Spesso tra una barba e un pensiero, ci volava in mezzo il sogno. Uno schianto a 200km orari. Un colpo secco contro un tir, di quelli memorabili che poi finiscono sui giornali: “uomo sbarbato si deatomizza sulla tiburtina – (sottotitolo) – l’ultimo pensiero del tale fu: Ed ora cosa devo pensare in questo frangente? Le mie viscere sparpagliate sulla strada, assumeranno una conformazione consona? – (Trafiletto al lato) Nessuno se ne accorgerà, ma di qualche cosa dovremo pure scrivere su questo cazzo di giornale.”

Che tristezza ora questo specchio, queste rughe che scorgo al fianco di una smorfia. Quella faccia che ora osservo un secondo dopo l’altro, un secondo dopo l’altro e che non riconosco, non riconosco più.
Mi prendo il caffè, che dopo il dentifricio al mentolo “bianco e subito” mi arricchisco di menta piperita il broncio. Come un albero di natale, di quelli a basso costo.
Perché sì, siamo come alberi di natale finti e di plastica.
Plastica agghindata a festa di luci e cose inutili
Ed ogni nostro passo
si spegne nelle intermittenze.

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