La poesia delle parole mirabolanti
mi ha stuccato, i fuochi artificiali
degli escrementi, dei genitali,
il rococò del turpiloquio,
le immani immaginifiche immagini forzate
nella penna
e poi evacuate
come una scia che segna il passo
del mago dell’imago
che si contorce e supplica stupore
agli sprezzati che ha davanti
battezzando le verdure da minestra
bossi ligustri o acanti.
Mi ha stancato il gusto facile
dello zibibbo, della cassata
che spiazza e scaccia
il refolo dalla tua narice
che si attarda sulla soglia
di un mio bacio,
che ignora
le prolungate armoniche del chiurlo
nel madrigale
di due bambine intente al gioco,
che trascura
la risacca del respiro che cantiamo senza sosta
quando siamo soli
e il giubilo divino
che è in questa pasta coi fagioli.