L’invenzione della pioggia

Potrei impiegare meglio il tempo
mentre fumo e l’aria si rallenta
inventare qualcosa di nuovo
magari un nuovo corso di lacrime
per gli occhi
un progetto di ricordi tumidi
da impacchettare
o mettere dentro un bicchiere.

Ci vogliono otto nuvole di gesso per una ceneriera,
l’eco d’un tamburo in caduta
e occhi muti che fingono soffitti;

un boato di avvoltoi nel petto
un silenzio capovolto altissimo

ci vorrebbero preghiere di liberazione
danze e rituali del dolore nella specchiera
un tribunale di lamenti livido e attorto sotto il mento
e un brillare rotto di specchi.

Ci vorrebbe un vetro appannato sulla bocca
una luce gialla profonda come un sonno
e un cielo calloso nelle mani.

Nasce così la pioggia
negli intervalli di stoffa alle finestre
nella teiera fumante
nella conca d’alluminio d’un cucchiaio.

La solitudine di un uomo si misura nell’acqua
nel vano cupo pensiero della morte

questa scultura infima
che è noia
piccola attesa di cenere alle dita
e questo rivolo di fumo
che taglia il giro alla mosca.

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