Quo vadis?

Andrei ha pulito il coltello sulle foglie di una pianta a bordo strada, poi, non soddisfatto del risultato, lo ha immerso di piatto in una piccola pozzanghera, prima da un lato e poi dall’altro.
Il sangue all’inizio sembrava tingesse tutta l’acqua ma poi in un attimo si è diluito e alla fine non si vedeva nemmeno la differenza di colore con la pozzanghera di fianco. Con il bordo di un fazzoletto di carta trovato a terra ha asciugato la lama, l’ha ripiegata nel manico di legno chiaro, l’ha infilata nella tasca laterale dell’eastpak e ha incominciato a camminare.
Da allora non si è più fermato.
Ha fatto ogni tipo di pensieri in queste due ore, pensieri stupidi e pensieri belli, ha fischiato, si è sparato negli auricolari due o tre pezzi tosti ma adesso comincia ad essere stanco e da una mezz’oretta la fame ha preso a farsi sentire. Quando è in classe di solito riesce a scroccare qualcosa dai compagni, un morso di merendina, un pezzo di pane col prosciutto, ora invece si accorge che la fretta di uscire gli ha impedito di fare colazione ed è digiuno da ieri sera. Se fosse dalle parti della scuola potrebbe aspettare l’uscita degli altri e farsi offrire qualcosa nella solita latteria ma è lontano anni luce e quindi meglio non pensarci.
Alla fermata lungo la statale non c’è nessuno che aspetta. Andrei controlla sul cartello che lì fermino i mezzi della linea extraurbana e una volta che se n’è sincerato si ferma e si mette in attesa.
Sui sedili di plastica arancione in fila sotto la pensilina gli uniposca hanno lavorato sodo. Scritte nere, rosse fluorescenti e gialle si contendono ogni centimetro quadrato e tracimano sul policarbonato che forse, molti secoli prima, è stato trasparente.
Tanto per ammazzare l’attesa Andrei decide di provare a distinguere le diverse mani autrici delle scritte.
“ACAB”, “fuck the police” e la A cerchiata sono dello stesso anonimo, non ci vuole un genio. Se lo immagina con il cappuccio della felpa sempre alzato e le converse strinate dall’uso, scrivere veloce prima di saltare sul bus.
“Potevi valere la pena ma hai preferito farla” e “meglio un passato di verdura che un futuro di merda” sono uscite dallo stesso pennarello. Di certo lo teneva tra le dita grassocce e inanellate una ragazza che immagina non bella, con i jeans elasticizzati che aderiscono alle cosce come il budello delle salsicce.
Sulla paternità delle due scritte rosse “le mode passano noi no” e “ultras cosenza” è invece molto indeciso.
È così intento nel suo lavoro filologico che non avverte la presenza alle sue spalle. Quando la percepisce l’uomo gli sta a meno di mezzo metro.
Fa una specie di salto istintivo di lato. Il pensiero subito gli corre alla tasca nello zaino, troppo difficile da raggiungere.
L’uomo ha i capelli neri sudici legati in una coda di cavallo. Indossa una tuta da meccanico con i pantaloni stipati dentro calze di lana marrone che gli arrivano al ginocchio e scarponcini da lavoro con la punta d’acciaio che fa capolino dalla stoffa rotta. Del ragazzino e del suo cuore a mitraglia sembra che manco si sia accorto.
“Mai una cazzo di volta che sia in orario questo autobus di merda”.
Tiene in mano un bastone infilato nei manici di una busta di plastica. Guardando fisso di fronte a sé si lascia cadere sul sedile, estrae un brick dalla busta e gli dà una golata.
Andrei cerca di ridarsi un contegno e si appoggia alla parete della pensilina facendola tremare appena.
“Vuole favorire?” dice l’uomo stendendo verso Andrei il braccio con il cartoccio del vino.
“No, grazie” risponde Andrei e pensa che manco morto avvicinerebbe la propria mano a quella enorme e pelosa dello sconosciuto.
“Sei un ragazzino.” dice il tipo come soppesando il significato di questa constatazione “Siete già usciti da scuola?”
Andrei guarda con attenzione l’uomo riporre il suo brick nella busta.
“È cieco” pensa con una specie di brivido che non si sa spiegare.
“Certo -riprende il cieco- che non si capisce più un cazzo! A che ora si esce da scuola? A che ora passano gli autobus? Uno ci mette un sacco di tempo ad imparare le cose come funzionano e quando le ha imparate non sono già più vere! Prendi quell’uomo…” dice indicando un punto verso la strada.
“Non c’è nessun uomo” non si trattiene dal dire Andrei.
“D’accordo -conviene il cieco- ma se ci fosse ci sarebbe da star certi che nemmeno saprebbe dire dove si trova, dove si trova davvero intendo, e tanto meno quello che vuole”.
Andrei prenderebbe volentieri il coltello e se lo terrebbe in tasca, giusto per sicurezza, ma ha paura di far rumore e di mettere il cieco sul chi va là. Intanto quello si è calato un altro bel sorso di vino che gli è gocciato un po’ sulla barba e sulla tuta da meccanico bisunta.
“Nessuno sa più un cazzo, fidati ragazzino, e allora si diventa cattivi. Ti ricordi quando eri piccolo che qualcosa non ti tornava o ti preoccupava? Magari avevi scoperto qualcosa che metteva in dubbio la natura dei tuoi genitori, i loro comportamenti, e allora ti sentivi smarrito, avresti voluto urlare e insultare il primo che ti capitava. Magari finivi per picchiare tuo fratello.”
Ad Andrei viene da dire che lui non ce l’ha mai avuto un fratello ma si trattiene.
“Ecco se quell’uomo là si sente così adesso, incattivito, è perché non sa più un cazzo di niente, capisci?” e così dicendo si sposta nel sedile più vicino alla posizione di Andrei che fa un passo indietro.
“Io dico che anche quella donna, vedi? Quella che lo segue piangendo, nemmeno lei sa più se lo ama ancora o non lo ama più e lo segue così, per abitudine o semplicemente perché non saprebbe chi altro inseguire”.
“Ma quale donna?” dice il ragazzo sottovoce.
“E tutti e due si scoprono ogni giorno una faccia che non conoscono e cercano di ricordarsi che cosa avevano visto tanti anni prima l’uno nell’altra. E poi accendono la televisione e non capiscono un cazzo nemmeno di quello che vedono perché il mondo ormai parla un linguaggio storto e le cose non sono mai come sembrano e allora si sentono come se fossero in un racconto diverso da quello a cui credevano di essere preparati e si accorgono che tutto quello che sapevano non serve più a niente capisci?”
Andrei tace e pensa che ha una fame che si sente svenire.
“A un cazzo di niente” ribadisce il meccanico cieco e poi continua canticchiando “Un cazzo di niente, un cazzo di niente” e mentre canticchia cerca qualcosa nella busta di plastica finché non lo trova. Il ragazzo sorride con l’angolo della bocca, suo malgrado. Finalmente il cieco estrae un pettinino di plastica e comincia a pettinarsi la barba.
“Ora tu dimmi -riprende di colpo- certo che uno non può prevedere quel che gli succederà, su questo sarai d’accordo, ma un’idea minima di come è fatto il mondo bisognerà pure avercela! Giusto per sapere se girare a destra o a sinistra, mica di più! Io ricordo delle cose, poche, di quando ci vedevo ancora, ma sono sicuro che non c’entrano mica più con quello che sono diventate. E anche uno che non sa ancora un cazzo di niente come te, sono sicuro che già ha visto cambiare tutto di colpo almeno una volta! Tutte le cose che contano, puff, col culo per aria!”
Il ragazzo guarda dritto la strada ancora bagnata dalla pioggia della notte e le macchine che passano senza pietà, schizzando le cose ferme con la loro rabbia.
“Sì” risponde.
“Ecco”! Vedi? A proposito, tu dove vai ragazzo?”
“E lei dove va?” prende tempo Andrei
“E figurati se lo dico a te! Così te la canti e mi ritrovano! Dove vado io è top secret!”
“Anche dove vado io è top secret!”
“Allora facciamo così: se arriva prima il tuo autobus io chiudo gli occhi per non vedere dove vai. Se arriva prima il mio li chiudi tu, va bene?”
“Certo, certo, va bene” risponde il ragazzino alzando gli occhi al cielo.
Il cieco sembra molto soddisfatto dell’accordo. Pesca in fondo alla tasca della tuta una bottiglietta di liquore formato mignon e con molta cautela la versa nel cartoccio del vino, poi leva il brick in segno di brindisi e beve tutto d’un fiato
“E sai qual’è la cosa peggiore? Che quello che non si capisce più è proprio quello che dovrebbe guidarci! Sono le idee quelle che non stanno più al loro posto!”
Sembra che l’alcool lo snebbi invece di confonderlo.
“Ma non come quando uno cambia idea, no! Neanche lontanamente! Qui le idee cambiano da sole, senza che sia tu a deciderlo! Dici una cosa che è sempre stata giudicata buona, sensata da che il mondo esiste e tutti a insultarti, a gridare allo scandalo! Non è questione di quel che è giusto e quel che è sbagliato, per carità! E chi l’ha mai saputo? Ma della ragione per cui la gente cambia idea! C’è un folletto pazzo che sta nella sala operativa e schiaccia tutti i pulsanti a caso! Non so, magari ci sono degli interessi. Di colpo il bianco diventa nero, l’est diventa l’ovest. Prendi quell’autobus lì davanti…”
“Non c’è nessun autobus” dice meccanicamente Andrei.
E invece l’autobus c’è e si sta fermando esattamente in quel momento dall’altra parte della strada.
“C’è l’autobus! -grida il cieco sentendo il rumore dei freni- Da che parte va?”
“Di là” esclama Andrei.
“Chiudi gli occhi!”
“Va bene, li ho chiusi!” dice il ragazzo senza chiuderli.
Il barbone afferra il suo sacchetto e comincia a correre lungo il marciapiede.
“No! Non di là! -grida Andrei- È dall’altra parte della carreggiata!”
Il cieco scarta di lato e si getta in mezzo alla strada agitando le braccia. Una macchina gli passa davanti a tutta velocità suonando il clacson come la sirena del Titanic nella nebbia polare. L’uomo scivola e cade sull’asfalto a faccia in avanti. Andrei scatta e lo aiuta a sollevarsi mentre fa segno alle macchine di rallentare, poi lo accompagna sul marciapiede opposto. L’autista, vedendo la scena, si è fermato a aspettare.
Appena i due salgono i gradini, le porte si chiudono soffiando.
“Anche tu qui?” dice l’uomo al ragazzo ansimando.
“Sei sicuro che fosse questo il tuo autobus?” domanda Andrei.
“Non lo so, aspetta. Scusi? -grida il cieco nella speranza ci sia qualche passeggero seduto da quelle parti- Dove va questo autobus?”
“Non lo so, non si capisce un cazzo -risponde un tizio due file più avanti- sta facendo una strada che non ha mai fatto.”
“Si, esattamente questo. -dice il cieco ad Andrei- E tu?”
“Stai tenendo gli occhi chiusi?”
“Giuro”
“Era proprio l’ autobus che aspettavo.”
Fuori dai finestrini è quasi buio nonostante l’ora. Andrei pensa che forse pioverà di nuovo e non ha nemmeno un ombrello con sé.
L’autobus fa il suono che fanno le gomme sul bagnato, le macchine gli sfrecciano accanto con i fari accesi o gli corrono incontro dalla corsia opposta come minuscoli asteroidi. Andrei pensa che nulla può infrangere il campo di forza della grande nave madre, che viaggia nello spazio profondo.

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