TUTTA QUELLA DOLCEZZA

Ieri sono stata dal dottore. Mi ha frugato dentro per bene, mi ha toccato i seni con la punta delle dita guardando altrove, come ne avesse un po’ ripugnanza, mi ha scrutato con un’ecografia e poi mi ha fatto i complimenti. Mi sono ritrovata nel corridoio con una cartellina in mano dove dovrò raccogliere gli esami dei prossimi nove mesi e un bigliettino con un numero di telefono per ogni evenienza.
C’erano due coppie lì fuori, sedute in attesa e, quando mi hanno visto uscire con la cartellina in mano, qualcuno di loro mi ha sorriso.
Io mi sono chiesta che cosa avresti detto tu a questo punto, se fossi stato con me. Ho immaginato la tua espressione nuova, impacciata, imbarazzata, spaventata, non so, e di scendere in strada tenendomi al tuo braccio.
Ho pensato che avremmo probabilmente camminato in silenzio, ho sorriso contagiata dal sorriso che ho immaginato sulle nostre bocche, mi sono figurata che magari mi avresti aperto la portiera con una gentilezza nuova e avresti fatto progetti ad alta voce, un po’ sconclusionati, guidando fino a casa. Sono sicura che avremmo convenuto che sarebbe stato meglio non parlarne ancora con nessuno, almeno per i primi tempi, e che avremmo passato la serata a fantasticare.
Così ho deciso di uscire e di andare al ristorante a festeggiare insieme a te.
Quando mi sono seduta a quel tavolo da due ho chiesto al cameriere se per piacere poteva non togliere il coperto di fronte a me e lui mi ha domandato se aspettavo qualcuno. Gli ho risposto di no, lui mi ha sorriso e quando ha tornato con il bicchiere per il vino ne ha portato uno in più e l’ha lasciato lì, di fronte al mio, davanti al tuo piatto vuoto.
Così ho brindato guardando la tua sedia e ho pensato che a quel punto tu mi avresti domandato se mi era permesso quel mezzo bicchiere di vino, se non c’era il rischio che facesse male al bambino.
E poi abbiamo passato una proprio una bella serata, io e te, e per due ore sono stata una signora accanto al marito, una donna vicina al suo uomo, alla vigilia di un futuro felice.
Quando sono arrivata a casa ho immaginato avresti avuto paura di fare l’amore e così ti ho rassicurato parlandoti piano e tenendoti il viso stretto tra le mani come facevo quando eravamo ragazzi.
Poi questa mattina, come tutti i giovedì, sono venuta a trovarti.
Il viaggio mi è volato senza accorgermene perché pensavo a ieri sera e di sicuro vista da fuori dovevo avere un espressione strana, un sorriso assente, mentre sobbalzavo sull’autobus che saliva verso il piazzale.
Come sempre mi sono fermata dal fioraio, che ormai dopo tanti anni mi conosce e mi tiene da parte i fiori più freschi, e quando sono arrivata da te era più o meno la solita ora.
Ho gettato i fiori vecchi, ho preso la spugnetta che lascio nascosta nel sottovaso, sono andata alla fontanella, l’ho bagnata, ho riempito il vaso, ho disposto i fiori e ho pulito per bene la tua foto, il marmo, ogni cosa.
Poi abbiamo chiacchierato e io ti ho raccontato un po’ della settimana, come faccio sempre, come se niente fosse. Ma della visita dal dottore e della nostra sera non ti ho detto niente così come di quell’altra sera di un mese fa, con quel signor nessuno.
Ti ho baciato un po’ prima del solito, con una scusa per farti stare tranquillo, e sono scappata per non far tardi all’appuntamento. Spero che tu che mi hai sempre capita con uno sguardo, non ti sia accorto di niente.
E pensavo, mentre aspettavo il mio turno, che nonostante tutto sono contenta di aver provato per un istante solo come sarebbe stato.
Potertelo dire guardandoti negli occhi, vederti trascolorare, emozionarti, impappinarti, gioire.
Essere io e te sull’orlo di un ramo un attimo prima di migrare.
Ho firmato le carte per l’aborto e sono andata via senza sapere come potrò sopravvivere ancora, domani, a tutta quella dolcezza.
Che era così tanta che quasi quasi mi faceva male.

Loading

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.