MAROSO

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(a Marina Cvetaeva)

Gloria a ogni tuo singolo verso!
Povere, le quattro pareti silenziose
che implorasti a gran voce
con il rombo del tuono nei timpani!
Marina, squarcio su legno fresco di candela
(Puskin alla tua ombra)
cavalli bai, zattere di ghiaccio sulla neve
stessi templi vuoti, forse un ramo di sorbo
la tua malinconia vestita di Polonia.
Lo stento protende all’impiego.
Riuscisse un genio a fare altro!
Cercasti fiori e stelle tra pietre disperate.
Si fossero aperte piante
prima del balzo sulla sedia!
Fosse fuoriuscito il sibilo maligno dal calcagno
e il tuo sangue – rappreso, appiccicoso e dolce
avesse sanato il tuo corpo, uscendo.
Qual è l’incisione che spurga
finché c’è linfa?
Troppo silenzio, troppo Destino amaro
ha il poeta che insemina il mondo.
Ma non se ne duole. Non teme

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