DOLCE, TAGLIATO SOTTILE

Ho comprato un etto di prosciutto crudo, dolce, tagliato sottile, tu ami il prosciutto crudo quando è dolce e tagliato sottile, e sono tornato a casa.
Ti ho sorpresa a dipingere di bianco gli scaffali. Fuori dalla finestra che ti illuminava le spalle imperava un pomeriggio senza freni, volgare, senza rimedio.
Se non fossimo stati inerti e imperdonabilmente colpevoli nella nostra inerzia, se avessimo iniziato per tempo a costruire l’alternativa alla grande contraddizione non saremmo oggi qui a interpretare queste parti consunte.
Tu stavi in ginocchio, io stavo in piedi con il sacchetto azzurro nella mano destra, il braccio lungo il corpo. Con la parte felice del mio cervello, che sta a destra da qualche parte e di dietro, pensavo ad un film che odorava di Francia (è un odore buono, di salotto, di millenovecentosessantasei, di millenovecentosettantanove, di posto struggente e perfetto l’odore di Francia). Con la parte infelice del mio cervello che sta dietro agli occhi e scende giù verso la gola sentivo il giallo che occupava tutta l’aria e mi occludeva le orecchie.
Ti ho comprato il prosciutto crudo ti ho detto, passami quel bicchiere d’acqua coi pennelli mi hai risposto. E intanto guardavi il legno in controluce per verificare l’uniformità del colore.
E avremmo potuto dire va bene andiamo tanto non si muore e anche si morisse non conta niente morire, andiamo a fare noi e non stiamo qui a fare gli altri, non c’è niente alla fine che conti se non darsi un proprio stile nel tuffo. Carpiato, avvitato, ad angelo, è un secondo a dir tanto. Poi si entra in acqua e quel che hai fatto hai fatto. E invece ogni giorno abbiam detto che erano tutte ragazzate, facevamo i superiori. Prima mettiamo in fila tutte le cose sbagliate, poi tutte quelle superflue, poi tutte quelle assurde e poi ci occupiamo di noi sacrosanti.
Ora non mi va di mangiare ma dopo lo mangio. Grazie hai aggiunto. Ma lo hai aggiunto.
Gli atomi che ci compongono non invecchiano e noi invece invecchiamo. Alla fine che sarà tutta questa parata di scuse che marciano in fila, precedute dagli ostacoli, affiancate dagli impedimenti, seguite dalle difficoltà, scortate dagli intoppi, guidate dalle complicazioni. Adesso mi strappo di dosso queste vesti apparenti e resto per te la sagoma scorticata e sanguinante di quello che sono. E poi ti dico qualcosa di straordinario, che ti faccia piangere. Cosa conta che ora non abbia idea di che potrebbe mai essere? Lo direi con tutta la forza del mio tenermi l’aria di dentro, del mio voler muovere i muri con gli occhi e quindi merito di poterlo dire.
Devo fare una doccia hai detto, magari era meglio se prendevo anche un melone ho risposto.
Un avanzo di sugo abita da qualche tempo una padella inclinata verso il suo manico e percorre millimetro a millimetro la sua strada inesorabile di ghiacciaio scarlatto. I secondi percolano nell’immondezzaio, uno via l’altro. Non sarebbe stato male hai convenuto, faccio in tempo a prenderlo e tornare mentre tu finisci la doccia.
Il pomeriggio vacilla e crolla in ginocchio. Ho il cuore che mi batte dentro la pancia, sono quasi certo di essere molto malato, magari non la vedo la prossima estate e questo è quanto e buonanotte a tutti.
Cinque euro mi dovrebbero bastare, e se no lascio da pagare.

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