Recensione di Donatella Pezzino a “Lo sguardo velato” di Felice Serino

Quando ci si accosta all’opera di Felice Serino, è difficile non notare il dinamismo della dimensione interiore: nonostante sia interamente incentrata sull’anima, infatti, la sua poesia è ben lungi dal ripiegarsi in sé stessa, poiché l’essenza umana è continuo movimento. La parola “ondivago”, presente in diverse composizioni seriniane, esprime in modo pieno e immediato questo anelito al volo, quest’ansia di scrollarsi di dosso un’immobilità che è congeniale solo alla materia inerte. L’anima di Serino è un agglomerato di particelle che, pur restando unite, sciamano in tutte le direzioni, nella brama di riunirsi al loro elemento naturale: il Tutto. Ma, per seguire quell’ordine che appare insito nella stessa struttura del creato, quest’anima tenta di ravvisare nell’esistenza terrena un percorso logico e coerente, in cui il dispiegamento delle forze interiori possa dipanarsi in linea retta: salvo poi rendersi conto, alla fine di questo lungo cammino, di aver sempre cercato il proprio cerchio perfetto. La vita, allora, acquista un senso in qualità di processo dialettico, in cui l’opposizione tra corpo e anima trova un suo superamento nella morte, vista non come la fine di tutto, ma come una vera e propria risurrezione, da cui scaturirà nuova linfa vitale:

dal Tutto
ritrovarsi nell’uno
a vivere il sogno della carne

il sangue che cavalca il vento dove
crescono i passi

lacerato dalle lancette
d’un orologio interiore
un Lazzaro a sollevarsi da cento morti

In questa raccolta di liriche, il poeta giunge ad una nuova tappa del suo viaggio: al termine del percorso, si apre finalmente la porta di comunicazione tra il mondo sensibile e quello trascendente. Ma ciò che appare non è ancora ben visibile: sul ciglio dell’oltre, lo sguardo è ancora velato (da qui il titolo) e non può nitidamente distinguere gli oggetti della trascendenza.

ma a te presente
il Sé -il celeste- l’esistere
specchiato: vita che si guarda
vivere

un mondo in un altro

In tale contesto, risalta la volontà di non voltarsi mai indietro: contrariamente a quanto il senso comune vorrebbe, in Serino la maturità non è tanto il momento del ricordo, delle nostalgie, dei rimpianti, quanto più un’occasione per interrogarsi su cosa lo aspetta. Questa tendenza a proiettarsi in avanti non nasce dal desiderio di negare il proprio passato: ciò che è stato vissuto, tuttavia, è ormai alle spalle e non può tornare. Questa ferma intenzione di vivere nel presente sembra annullare il tempo: e, dove la dimensione temporale non esiste, la stessa età dell’uomo si appiattisce, e il poeta può attingere a piene mani dal bambino che dorme in lui.

scoprire in me il bimbo
accoccolato nella mente

Di quando in quando, il flusso di coscienza è intervallato da riflessioni sui tanti drammi che segnano il nostro vissuto: il corpo di un migrante abbandonato su una spiaggia, le laceranti incomprensioni dei rapporti affettivi, la sofferenza dello scrivere; come a voler ricordare che morendo ci si lascia alle spalle un mondo fatto di sequenze dolorose. Da qui il tema del sogno, visto come momentaneo rifugio dalle tempeste della vita:

c’è un donnone nei miei sogni
mi perdo fra le sue grandi mammelle
piccolo piccolo mi faccio e
come scricciolo
mi c’infilo
nel suo caldo grembo

al riparo degli tsunami del mondo

Il tono dell’intera raccolta accentua quella ricerca di essenzialità già distintiva della produzione precedente: il verso è breve, asciutto, simile ad un legno prosciugato; l’anima, in procinto di distaccarsi, guarda già al corpo come ad un involucro che ha perso la sua sostanza.

l’anima spando sulla terra
a ricambiarmi una solitudine
ampia come il cielo

mi appresto a gran passi agli ottanta
e ancor più poesia ti canto
-del mio sangue azzurra ala

ai confini della sera in quel
farneticare che richiama la morte

il tuo volare alto
come preghiera

Tanti i quesiti che si leggono fra le righe. Una volta riassorbito dal Tutto, l’uomo conserverà una scintilla della sua individualità? Il suo bagaglio di ricordi, le sue colpe, i suoi “scheletri” insomma: lo seguiranno o si dissolveranno?

sì onorarli
i morti che
ci perdonano con un velo di pietà

quelli che sognarono
il loro eldorado
ragazzi degli anta presto
dipartiti

ora di qualcuno
d’essi verrà detto
era un pezzo di pane
-anche se di certo avrà
portato con sé i suoi scheletri

o si saranno nell’altra
dimensione dissolti

Domande probabilmente destinate a restare senza risposta; ma, in mezzo a tanti dubbi, c’è comunque una certezza. Qualsiasi cosa saremo, siamo stati amore, ed è questo ciò che potrebbe sopravviverci. L’amore, eterno e ubiquo, ha una forza pari soltanto a quella della fede.

falesie di pensieri
tesse ragno di luce

vertigine: come
sarà senza il corpo
-serbata la vita
nella Pietà del sangue

solo espanso
pensiero saremo?

ci consoli certezza
di portare in salvo brandelli
d’amore

I due temi, l’amore e la fede, si trovano da sempre strettamente intrecciati nella poetica di Serino: qui, tuttavia, la fede non sembrerebbe avere il ruolo preponderante che ha rivestito altrove. Ma è solo un’impressione superficiale: ad un certo punto della lettura, infatti, ci si accorge che la presenza di Dio ha in questa opera una valenza molto più forte, tanto da poterla respirare in ogni verso. Ovunque, nel libro, c’è un silenzio pieno di Dio; e questa pienezza, così tacita e così viva, incarna il desiderio quasi tormentoso di anticipare la fusione con il sommo Bene, per trovare finalmente quella felicità che sembra preclusa alla condizione umana.

tocco in sogno la fiorita
riva delle tue braccia:
è una dolce pena questo lieve
sfiorare la tua vaga essenza
a un lunare complice chiarore

Fenomeni psichici come il dormiveglia o il sogno prefigurano in tal modo il trapasso, aiutandoci a distinguere con più chiarezza ciò che i sensi ci impediscono di vedere:

si concentra ed espande
l’amore in quel vivere-morire
delle prensili braccia
sospensione apparente carne e cielo

Un “vivere-morire”, appunto: una vela spiegata verso altri approdi, dove lo spirito può finalmente trovare conforto al suo perenne cercarsi.

dove ti porta il filo
dell’immaginario o del
sognare

dove
questa strana ma feconda
inquietudine
serpeggiante nel sangue
tutti i libri letti i mari
solcati – odisseo tu
nello spirito- dove
questo cuore nomade
d’amore
ti porta

Ma in fondo, la vita del poeta si è sempre svolta in una dimensione dualistica: da un lato, quel “paese interiore” dove l’anima può pienamente espandersi:

nel paese interiore
eiaculo i miei sogni –
vivo una stagione
rubata al tempo -mimesi
icariana sul vetro del cielo-

nel paese interiore
brucia il mio daimon
di febbre e di luce

Dall’altro, una realtà sempre più dominata dai falsi idoli, magistralmente descritta in “Un dio cibernetico?”:

vita asettica: grado
zero del divino Onniforme
-ma la notte del sangue
conserva memoria di volo

vita
sovrapposta alla sfera celeste
regno d’immagini
epifaniche

emozioni
elettroniche

eclissi dell’occhio-pensiero

In questa esistenza bifronte, la morte fisica viene vista come un evento che ci strappa il velo dagli occhi, consentendoci di riappropriarci di quella dignità ormai sconosciuta alla società degli uomini. Liberi dalle pastoie del mondo sensibile, ridiventiamo ciò che avevamo dimenticato di essere: mondi di pura luce, completi nella loro unicità e, allo stesso tempo, in quanto parte del Tutto.

dell’ indicibile essenza
noi sostanza e pienezza

solleva l’angelo un lembo
di cielo:

in questa vastità soli
non siamo: miriadi
di mondi-entità ognuno
in una goccia
di luce
*

Donatella Pezzino

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