Gregory Corso / Poeti Internazionali

Botticelli’s «Spring»

Di primavera nemmeno un cenno!
Sentinelle fiorentine
da campanili ghiacciati
cercano un segno –
Lorenzo sogna di svegliare uccelli azzurri,
Ariosto si succhia il pollice.
Michelangelo è seduto in mezzo al letto
…niente di nuovo lo sveglia.
Dante si tira indietro il cappuccio di velluto,
ha gli occhi scuri e tristi.
Di primavera nemmeno un cenno!
Leonardo misura coi passi la sua stanza insopportabile
…butta un occhio arrogante sulla neve dura a morire.
Raffaello entra in un bagno caldo
…i suoi lunghi capelli di seta seccati
per il poco sole.
Aretino ricorda la primavera a Milano; sua madre,
che adesso, sulle dolci colline milanesi, dorme.
Di primavera nemmeno un cenno! Nessuno!
Ah, Botticelli apre la porta del suo studio.

*

Ecce homo

– dipinto di Teodorico –

Nelle mani e nei piedi feriti
i frammenti di vecchie ferite (quasi sanate)
come mandorle nere incrostate
rispondono a sufficienza –
i chiodi attraversarono l’uomo fino a Dio.

La corona di spine (che idea superba!)
la ferita al costato (che atrocità)
penetrano soltanto l’uomo.

Ho visto molti dipinti di questo;
le stesse inflizioni,
soggetto di prova: ecce signum,
la stessa faccia triste:
li ho tutti scordati.
O Teodorico, giovinezza, incertezza, mia colpa – ma tua!
Che pena! Questa,
impossibile da scordare.

*

Uccello

Non moriranno mai sopra quel campo
né l’ombra dei lupi chiamerà a raccolta le loro orde come spose di grano
da ogni orizzonte lì aspettando che si consumi la fine della battaglia
Non ci saranno morti a tendere le loro pance molli
né mucchi di cavalli inamidati a scheggiare di rosso i loro occhi lucenti
o accrescerne il pasto di morte
Morirebbero di fame con lingue impazzite
prima di credere che su quel campo nessun uomo muore

Non moriranno mai – questi che combattono così abbracciati
fiato per fiato occhio nell’occhio impossibile morire
o muoversi nessuna luce s’infiltra nessun braccio massacrato
nient’altro che cavalli ansanti scudo brillante su
scudo tutti fatti brillanti dal raggio appuntito di un occhio con l’elmetto
oh quant’è difficile cadere tra quelle lance intrecciate
E quei vessilli! Arrabbiati da far scorrere le insegne in quel cielo cancellato
Si direbbe che dipingesse le sue schiere presso i fiumi più freddi
hanno file di teschi di ferro che lampeggiano nel buio
Si direbbe che è impossibile per chiunque morire
la bocca di ogni combattente è un castello di canti
ogni pugno di ferro un gong sognante mazza riecheggia mazza
come grida dorate
quanto vorrei unirmi a una tale battaglia
un uomo d’argento su un nero cavallo con rosso stendardo e lancia
striata per non morire ma essere eterno
un principe d’oro di una guerra dipinta

Traduzione a cura di Daniele Gigli

Gregory Nunzio Corso (New York, 26 marzo 1930 – Minneapolis, 17 gennaio 2001) è stato un poeta statunitense.
Nato e cresciuto a New York da genitori italiani (il padre, Samuele “Sam” Corso, era calabrese, mentre la madre, Michelina Colonna, era originaria di Miglionico, in provincia di Matera)[1], Corso fu uno dei poeti statunitensi della Beat Generation, come Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti e Burroughs.
Giramondo come i suoi colleghi più noti, Jack Kerouac e Allen Ginsberg, si avvicinò alla cultura ed alla letteratura nel periodo in cui entrava ed usciva dal riformatorio “…era leggendo Shelley in un carcere minorile che aveva cominciato a scrivere poesie, a sognare la Bellezza con la B maiuscola, a immaginare mondi stellati non legati ai fili della logica inesplicabili”.

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