IL SENSO DEL “MERAVIGLIOSO” (6)

Ascolterò, con l’immaginazione in brandelli,
le sillabe malate di queste terre
sporche da troppo tempo. Sarò disposto
all’ipnosi degli spot che mi garantiscono
vita nelle tundre siderali…

Poi, spiovvero acque grigie di grondaia
dai palazzi addossati sul tratto Poincaré,
e avrei voluto piangere al pensiero
di quella faccia volitiva e di quel tronco bendato
come lo vide Ernst ai confini del faubourg in un paradiso
di ricerche solubili.

Ci mancò la rivoluzione poietica,
come dimenticammo il colpo di fulmine copernicano, qui,
dans la Cité di cui transito i brividi in un secco mattino
dagli odori greco-arabi sfrecciando per Mouffetard
in una dicotomia fra i solchi dell’inquietudine, quell’obbligo
di vita al di fuori dei pentagrammi. Come un sistema
di velocità binaria, il mio cuore è il tentativo di un fonema
aggiunto al coito interrotto delle holding finanziarie, ed è possibile
che il fiume possa inondare quanto si volle esporre, con le
tecniche automatiche, in fondo al divertissement del gesto.
Ciò che conduce al riciclaggio romantico, del resto,
è improba impresa di questi anni, la conditio vitae per soffocare
gli onesti aneliti di un’oltrerealtà.

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