Ogni sera accendevamo una luce lattea
e litigavamo per intere ore
perché cristo parlavi sopra le parole di Selby
che mi raccontava storie da quattro soldi
di recessi americani
poi andavo ad ascoltare a mezze orecchie
canzoni per infanzie dissolute
e ti bisbigliavo tutto il mio poema
nella notte e per le generazioni di notti a venire
ma tutto era stato scritto, ccheddire,
e non si parlava più della borghesia
in tivvù o nei bar alle sei del mattino
si chiacchierava di com’era adesso il mondo
e di cosa poter conservare nei nostri comodini
verde smeraldo dente d’ikea
Ma lei dormiva nella stanza accanto
e metteva su una miriade di lavatrici al giorno
per dimostrare che le ore della ricchezza stillavano mute
sopra le nostre teste come buchi
in tetti miserabili
e non eravamo neanche nati quando le barbe fulve
o le mani a spuntoni dritte verso il cielo si alzavano in segno di
ALT, questo posto nazionalromano è mio
Eppure c’era
mentre le nostre storie si avviluppavano
avide nei boschi della sapienza
e i nostri corpi nudi sudavano lettere post-moderne
scritte in fretta racchiuse in linguaggi inventati
in nuove redenzioni fresche non indiane
Lei c’era
e mostrava il culo a tutto ciò che avevamo scritto e suonato
e che avremmo recitato ancora per anni ed ere
fino a capire che le perizie mentali labirintiche
delle nostre menti erano immortali
E niente contava niente era pubblico o umano
poiché ogni sera accendevamo una luce lattea
e inventavamo un sacco di storie da sbranare
che ci deprimevano e facevano disperare le notti calde
in cui contavamo le lucciole in preda alla caduta
ed io recitavo tutto il mio poema al contrario
come un nottambulo o un pazzo o qualcuno che sappia contare nella foschia
di questo secolo