Guido Gozzano / Caffè letterario

Da Delle crisalidi

Oggi tutto è silenzio di clausura,
digiuno, attesa immobile, sgomento
di necropoli tetra. Alle pareti
ogni defunto è un pendulo monile,
ogni monile un’anima che attende
l’ora certa del volo. Ed io mi sono
quel negromante che nel suo palagio
senza fine, in clessidre senza fine,
custodisce gli spiriti captivi
dei trapassati, degli apparituri.
Veramente la mia stanza modesta
è la reggia del non essere più,
del non essere ancora. E qui la vita
sorride alla sorella inconciliabile
e i loro volti fanno un volto solo.

(Da “Le farfalle”)

 

L’inganno

Primavera non è che s’avventuri
un’altra volta e cinga di tripudi
un’altra volta i rami seminudi,
tutti raggiando questi cieli puri?

Madre Terra, sei tu che trasfiguri
la vigilia dei giorni foschi e crudi?
O Madre Terra buona, tu che illudi
fino all’ultimo giorno i morituri!

Essi non piangono la sentenza amara.
Domani si morrà. Che importa? Oggi
sorride il colco tra le stoppie invalide…

Tutto muore con gioia (Impara! Impara!)
E forse ancora s’apre contro i poggi
l’ultimo fiore e l’ultima crisalide.

(Da “La via del rifugio”)

 

Da Cocotte
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!

Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia…
Vieni! T’accoglierà l’anima sazia.
Fa ch’io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacierò; rifiorirà, nell’atto,
sulla tua bocca l’ultima tua grazia.

(Da “I colloqui”)

 

Il sogno cattivo

Se guardo questo pettine sottile
di tartaruga e d’oro, che affigura –
opera egregia di cesellatura –
un germoglio di vischio in novo stile,

risogno un sogno atroce. Dal monile
divampa quella gran capellatura
vostra, fiammante nella massa oscura.
E pur non vedo il volto giovenile.

Solo vedo che il pettino produce
sempre capelli biondo-bruni e scorgo
un cielo fatto delle loro trame:

un cielo senza vento e senza luce!
E poi un mare… e poi cado in un gorgo
tutto di bande di color di rame.

(Da “La via del rifugio”)

 

Da I sonetti del ritorno

Sui gradini consunti, come un povero
mendicante mi seggo, umilicorde:
o Casa, perché sbarri con le corde
di glicine la porta del ricovero?

La clausura dei tralci mi rimorde
l’anima come un gesto di rimprovero:
da quanto tempo non dischiudo il rovero
di quei battenti sulle stanze sorde!

Sorde e gelide e buie… Un odor triste
è nell’umile casa centenaria
di cotogna, di muffa, di campestre…

Dalle panciute grate secentiste
il cemento si sgretola se all’aria
rinnovatrice schiudo le finestre.

(Da “La via del rifugio”)

(Guido Gozzano, Tutte le poesie, Mondadori 1983)

Guido Gustavo Gozzano nasce a Torino nel 1883. Si iscrive alla facoltà di legge, ma preferisce dedicarsi alla letteratura: segue i corsi di Arturo Graf e frequenta la Società di Cultura, dove viene a contatto con alcune delle menti più brillanti del suo tempo. La sua poesia si ispira inizialmente a Gabriele D’Annunzio per poi inclinare, dopo la lettura dei versi del Pascoli e di alcuni autori stranieri (Maeterlinck, Jammes), verso un crepuscolarismo venato di influssi estetizzanti, il più adatto ad esprimere la nostalgia delle “buone cose di pessimo gusto”: gli oggetti fuori moda, le antiche eleganze divenute goffaggini, il rimpianto di un passato in cui forse saremmo stati felici. Muore di tisi a soli 32 anni, nel 1916. Di lui restano racconti, epistolari (celebri soprattutto le lettere ad Amalia Guglielminetti) e diverse raccolte di poesie, fra cui “La via del rifugio” (1907) e “I colloqui” (1911).

Donatella Pezzino

(Immagine: Giovane uomo alla finestra” di Gustave Caillebotte, 1876)

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