Io credo che la poesia sia qualcosa di molto vicino a un bisogno primario dell’essere umano. E qui non faccio distinzione tra la poesia letta o scritta. In entrambi i casi ha a che fare con la conoscenza profonda di sé, innanzitutto, necessaria, poi, all’incontro reale e profondo con l’altro. La difficoltà sta nel fatto che non sempre l’uomo è disposto o preparato o allenato a riconoscere questo bisogno. A volte addirittura non sa nominarlo. Per farlo, infatti, occorrono dosi massicce di attenzione e disposizione all’ascolto. Elementi, questi, che nel nostro tempo ossessionato dalla velocità – dobbiamo essere raggiungere più obiettivi possibili, nel più breve tempo possibile – sembrano essere andati pressoché perduti. A imperare, invece, insieme alla sfiancante necessità della performance e alla conseguente livorosa competizione, è una forma perniciosa di distrazione, che riduce l’essere umano a uno zombie che corre sul posto, (per metà del tempo chino sul suo smartphone), completamente dimentico di sé e degli altri, immerso in una realtà che raramente riesce a comprendere. Mentre subiamo le scudisciate di una specie di voce fuori campo che continua a incitare: corri! corri!, basterebbe non dico fermarsi, ma almeno rallentare. Rallentando si schiude la porta alla visione interiore, se siamo disposti a correre il rischio di guardarci. Sì, perché è un rischio: là dentro non troveremo – non subito e non soltanto – campi fioriti e cieli azzurrissimi, è più probabile imbattersi in frane e sgomenti. Mi sovvengono le parole di Jung: “onora la tenebra come onori la luce, e rischiarerai la tua tenebra”. Ecco, io credo che la poesia possa essere considerata un prezioso esercizio di attenzione col quale, incontrando e rischiarando la propria tenebra, si risponde – o si tenta di rispondere – alle domande: chi sono io? Chi sei tu? Che nome porta questo incessante mutare delle cose?
Rita Greco
1
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Mezza vita in stordimento a navigare.
Sempre mi sorprende che sopravviva un verso
al bulimico ricevere
al bulimico cercare.
2
Della linea blu, parlavo
quella che teneva al soldo
la nuvola sleale
e il temporale
il conforto sbilenco
la misura sbandata
di un’ostinazione
e di un copione
– il teatro è per gli smemorati –
della fiamma blu, parlavo
caduta sul cuscino
mastico gli avanzi
e intanto m’incammino.
3
Prima che il giorno accada
saremo abbondantemente nati.
Viaggiavamo sul ciglio del dirupo
come affacciati a una finestra
stringiamoci, mi hai detto,
cos’altro ci resta?
4
Tutta la casa era un alibi
o un fiume
che scorreva verso di me
pensavo l’eternità
come si pensa
un fiocco di neve.
5
Avresti dovuto farmi piana
ma non posso darti torto
ci si diverte un mondo
a fare il cuore storto.
(Rita Greco – Testi inediti)
Rita Greco è nata e vive a Mesagne (Br). Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesie “Perché ho sempre addosso un cielo” (Il Filo Edizioni). Diplomata attrice professionista presso la Scuola d’arte drammatica della Puglia Talìa, conduce laboratori di teatro-poesia nella scuola primaria. Ha portato in scena, tra gli altri, reading poetico-musicali su Tagore e Neruda. È vicepresidente di “Solidea 1 Utopia”, associazione culturale che dal 2009 realizza eventi teatrali e letterari sul territorio, tra i quali il Premio letterario nazionale “Città di Mesagne”. Suoi testi sono stati pubblicati sul blog Rai Poesia, Versante Ripido, Poesia del nostro tempo, Transiti Poetici, Poeti Oggi.