Una poesia su Arthur Rimbaud

RIMBAUD

Il poeta nasce Icaro e muore vegliato come un rospo,
abbandonato su un letto di disfatte, come tutti.
Per tutta la vita un silenzio dietro l’altro
colmo di un’attesa di parola,
come nel deserto l’acqua l’assetato.
L’Europa, questa prigione enorme di bigottismi ancestrali,
era una voragine senza tempo;
l’Africa se fu l’altrove di un sogno
divenne ben presto il carcere del dovere.
“Tutto mi è indifferente” era la voce dall’inferno,
tutto che è utopico sperare buono o cavare
dalla sabbia del deserto della carità la chiave.
E l’immensità di una melodia raggelata
chi cucì fra le sue labbra? Di modo che la parola umana
gli diventasse estranea, fino a ripudiarla?
Parlo di quell’assenza di passione che così spesso
degenera in un ghigno da orizzonti perduti,
che riecheggiano in quella grande sparizione di parola,
che tutte le sue lettere, in fondo scritte dal carcere,
testimoniano in maniera indubitabile.
Quale simmetria fu forgiata fra il poeta e il mercante?
Quante mutilazioni, catastrofi interiori, dimissioni,
ciò significa per noi?

da “Sotto una luna in polvere” – Ettore Fobo – Kipple Officina Libraria (2010)

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