E poi cosa?
Cosa resta delle nostre fughe?
Se non piaghe carnali sparate al cielo
e tremule sbornie di sole in qualche orgia felice
L’avulso dei corpi,
infiammate sporgenze d’ignoto,
gementi d’impudichi sollazzi!
Gioia recondita al cuore,
nascosta tanto alla luce
quanto al buio della sera,
stuprerò con le parole adatte
le serrature dei tuoi portoni
divelti
Ed i tuoi capezzoli d’aurora
lontane cupole d’oriente,
come solitudini mistiche al cielo
strisciano
sui miei occhi d’animale ferito
schiuse labbra che urlano
in effluvi di sindoni celesti,
Cristi risorti le tue natiche!
Assoluta è,
la curva di predominio razziale
della tua carne.
E non v’è scopo, sola beatitudine
nella arroganza del tuo ventre
Che ogni verso, ogni gene di foga ora
implora pietà ai tuoi seni cattedrale
Mentre è sui tuoi piedi perlati
che chino sbavo l’ammissione
del mio peccato
conficcando chiodi,
lì dove ogni tuo sfintere
che d’eco si scopre tradito
deve, deve, deve essere mio!
appartenermi sussurrando
padre nostro piangendo
una croce tingendo
del tuo piacere
stupendo