IL PUGNO FURIOSO DEL DESIDERIO HA PIÙ BERSAGLI *
giornale, il titolo troneggiava
lì da qualche parte tra pagina
33 e pagina 39, ben oltre
l’Attualità e la Cultura.
Un titolo microscopicamente
cubitale come il verso di un
poeta lanciato al mondo
con lettere grondanti urla.
Un titolo così duro,
un titolo così vero,
dalla voce stentorea,
che riecheggia sin nelle viscere
più nascoste, che si erge tra
l’indifferenza ed i soprusi,
nelle devoluzioni, nelle mancate
Rivoluzioni, nei sogni sconnessi
di un paese allo sbando, di un
paese che si sveglia ogni mattina
sopra l’abisso di un incubo. Italia
che non conosci speranza, ma
ti contorci giorno e notte dal
dolore per chi non sa partorirti
né governarti, smarrita dietro una
bussola impazzita e rotte sconnesse,
scollegate dalla realtà. Una realtà
priva di retorica, come quella
del ghigno sdentato di chi non
ha più niente da perdere, di chi
en plein air non dipinge come
un impressionista ma vive, sotto
il ponte quotidiano dell’indifferenza
e l’esorbitante graffito espressionista,
tra i rovelli della fame ed il lezzo di
piscio, nel crepuscolo più bello che
solo questa città eterna conosce.
Maledettamente eterne sono le
sofferenze che si annidano nei
piedi lerci, caravaggeschi,
di troppi ammassi di uomini
e donne che si trascinano
dietro i propri poveri averi,
i fagotti di speranze, scarpe
bucate che sono buchi neri
e non suole di vento di poeti
bohemien, diretti alla Ville
Lumière con l’occhio ceruleo
teso verso il cielo e tasche
piene di sogni ottocenteschi.
Quanta ingiustizia dilagante,
nei borsellini vuoti a metà mese,
in bottiglie di vino aspro che
uomini senza futuro trangugiano
in abbacinati angoli di periferia,
insieme alla propria dilagante
solitudine, nell’indigenza più
fatiscente, in pianti di bambini
che paiono latrati. Tra muri
scrostati e squallori, tra tristi
lamiere, tra le mascelle digrignate
dei perdenti e fuochi fatui del
domani, contemplo la decadenza
del mondo. E, mentre la contemplo,
alzo il pugno furioso del desiderio,
e mi ribello.
* da Herman Hesse
Con il primo libro di poesie di Alessandra Bava, assistiamo alla nascita di un importante poeta rivoluzionario.
Questo è un evento rilevante e sono lieto di annunciare il suo apparire all’orizzonte.
Che possano essercene molti altri.
Termina con queste parole, la prefazione di Jack Hirschman – quarto Poeta Laureato emerito di San Francisco e amico di alcuni tra i più importanti esponenti di quella Beat generation, forse mai realmente esistita, in una sua vera e propria omogeneità storica (e dalla quale lo stesso Hirschman si è poi allontanato, per intraprendere un percorso di “poeta di strada”). A Guerrilla blues, il libro d’esordio di Alessandra Bava; Edizioni Ensemble 2012.
Quelli di Alessandra, sono infatti versi guerrieri dalle ritmiche musicali molto ripetitive, che cercano nell’espressione poetica, una fisicità originaria e irriducibile, un’arma linguistica contro ogni retorica, che permetta a sua volta di non scadere in ideologismi, né in strumenti di lotta codificati o sloganistici
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I nostri canti
son scritti col
fosforo
sulle pareti
dei nostri cuori.
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Libri di carne
a brandelli come
schegge di bombe
sanguinanti verità.
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Poiché la lingua è
ciò che conta di più e
non è veramente
importante se la imbracciate
– come fareste con un
bazooka – o se la impugnate
come una penna consunta […]
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Le parole feriscono
più persone delle bombe a mano,
ma non abbiate paura di usarle
per un giusto scopo.
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Sono molti i riferimenti e gli omaggi più o meno espliciti, che si rincorrono lungo il defluire del libro. Da Thoreau a Pasolini, passando per Simone Weil, Maiakovskij, Whitman e Rimbaud. Un Tinissimo omaggio a Tina Modotti, fino ad approdare ad odi dedicate a personaggi più strettamente riconducibili a vicende politiche e rivoluzionarie, come Ernesto “Che” Guevara.
Senza trascurare tuttavia Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, e gli indimenticabili protagonisti della parabola beat, che influenzano senz’altro l’autrice anche da un punto di vista stilistico.
Peculiare a mio avviso, nell’approccio di Bava, è la tensione a fare della parola una vera e propria “forza lavoro”, con la quale scardinare – verso dopo verso – i marchingegni della realtà costituita. Come a volerne continuamente sabotare gli ingranaggi formali, per dare ad ogni poesia il proprio “peso specifico”; un plus-valore che ne qualifichi sia materialmente che esistenzialmente il il senso
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parole, nuda
carne fremente,
ossa, grondanti versi,
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denti affondati in
viscere di senso
e di dissenso.
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[…]
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pronti a generare
molteplici fogli, pronti
a generare molteplici figli
della DISOBBEDIENZA.
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questa improvvisa remora
che la forma sia importante,
ma ancora di più le parole
l’ho passata al setaccio
con rabbia soffocante.
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Dunque la poesia di Alessandra non va affatto confusa con una riverenza nei confronti di quelli/e che indubbiamente, sono stati/e i suoi punti di riferimento formativi. Perché Guerrilla blues, è prima di tutto il libro di esordio, di quella che punta ad affermarsi, come una voce indipendente, matura e originale, nel panorama della poesia “di strada” attuale. Come dimostra ad esempio, il preziosissimo “decalogo per aspiranti poeti/e” (Regole della poesia) a pagina 57-58.
Sullo sfondo, resta l’esempio di quel Jack Hirschman, cui è dedicato persino un particolare “poemetto rosso”, in occasione del suo 77° compleanno
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Molte e
grandi
verità,
affilate
come falci,
in forma
di bandiere
sfilano &
marciano
nelle
pagine
dei tuoi
libri, ognuna
un’ ardente
Piazza Rossa
del mondo.
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E che più di ogni altro/a probabilmente, ha cambiato la vita di Alessandra (almeno per quanto riguarda la produzione poetica). Dopo l’incontro al Caffè Trieste di San Francisco a partire dal quale, fra le altre cose, si sono venuti a conoscere i membri fondatori della colonna romana del progetto delle Revolutionary Poets Brigade. Del quale progetto internazionale, Hirschman stesso è uno delle menti portanti.
Dunque, se era un evento rilevante solo pochi anni fa, annunciare l’ingresso sulla scena nazionale ed internazionale di questa “poetessa guerrigliera”, lo è forse ancor di più oggi, offrire un punto di vista interno alla sua parabola artistica da parte di chi – come me – ha il piacere e la fortuna di collaborarci, nel progetto della Rome’s Revolutionary Poets Brigade, da lei co-fondato.
Già, perché il buon vecchio Hirschman, nel messaggio augurale a chiusura della sua prefazione, è stato in qualche modo profetico nell’intuire che qualcosa di significativo stava iniziando. E che questo libro, poteva essere il presupposto di un percorso più ampio che si delineava, all’orizzonte generazionale.
Pullulano infatti negli ultimi anni, gruppi, movimenti e collettivi, che fanno del linguaggio e dell’azione poetica, il proprio canale preferenziale di lotta e di conflittualità sociale, oltre che di affermazione esistenziale.
Quasi a voler dimostrare ulteriormente, il fallimento delle avanguardie socio-politiche, ed in particolare di quelle provenienti dalla scorsa generazione, coi loro rispettivi riferimenti teorici più “significativi”. Dalle quali ci si sarebbe aspettato invece, il maggior contributo in termini di ricerca di possibili canali di “comunicazione” e di scambio fra generazioni.
Durante le riunioni della Rome’s Revolutionary Poets Brigade, discutiamo spesso anche di questi aspetti, cercando di dare un’interpretazione di questa renaissance poetica generazionale, e di capire come e in che misura essa possa farsi pienamente o meno espressione di un cambiamento a 360° della vita e della società. In una fase storica cruciale e di transizione, come quella che abbiamo attraversato, e stiamo attraversando.
Guerrilla blues, e più in generale l’opera e la persona di Alessandra Bava, sono dei nostri punti di riferimento e stimoli costanti ed importanti di questa riflessione. Delle azioni poetiche che ne scaturiscono per le strade di Roma, e nei suoi spazi culturali e sociali più sensibili ad un approccio e un orizzonte come quelli incarnati dalle Brigade di tutto il mondo.
Quasi una costante e inesauribile esortazione, a riportarci al senso più profondo e autentico del nostro essere-poetico
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Mandate al rogo la scrittura
ed immolatevi in forma di
Poesia. Come Fenici, risorgete
poi in forma di Azione.
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Roma – Firenze – Roma
gennaio 2016
Edoardo Olmi
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