Mario Rapisardi / Caffè letterario

Da Crepuscolo

Susurri vaganti, selvagge fragranze
esalan da’ pori dell’ombra infinita;
memorie indistinte, confuse speranze
esalan da’ cuori confitti alla vita.

O nato alla brama d’impervi misteri,
il fascino accogli dell’ora, e t’adergi;
su l’ala che sfida la fiamma dei veri
nel baratro vivo dei cieli t’immergi!

Labor

Si travaglia la selva ispida al vento,
che fra’ recessi tenebrosi spira;
ed or piegasi all’inegual tormento,
or mugghiante si aderge in preda all’ira.

In un vasto profondo ondeggiamento
l’intricato fogliame alto sospira,
mentre i rami, al demon che li martira,
contorconsi con lungo uman lamento.

O triste animo mio, che il popol denso
delle brame orgogliose ergi all’arcano
poter ch’empie di sé l’essere immenso,

tu così, tu così, d’altro uragano
sotto la furia, in un travaglio intenso
gemi, t’adiri e ti contorci invano!

 

Da Mors et Vita

O anima umana, fanciulla
che il nume fuggevole agogni,
e assisa fra un’urna e una culla
ritessi la tela dei sogni;

o armato pensiero, che movi
di strani castelli all’assalto,
e attorto da serpi e da rovi
prorompi svolgendoti in alto;

la Vita e la Morte abbracciate
vi guardan dall’arduo sentiero,
e al baratro immenso piegate
le teste, susurran: Mistero!

 

Epigramma XIV

Io tutto chiuso nella cieca terra
entro un picciolo avello esser non voglio:
seppellite le mie gelide membra,
ma su fuor della fossa al cielo immenso
sorga la fronte mia desiderosa
d’aprica luce. Arder vedrete a notte
per la pianura solitaria e muta
una fiamma inconsunta, a cui daranno
l’aure alimento e nova forza i nembi.
Come ingenue falene al foco ignoto
verran le plebi derelitte, e viva
fede e coscienza di sé stesse e ardore
d’universale carità ne’ petti
dissueti accorranno a poco a poco.
Niun saprà delle mutate genti
quale io vissi e chi fui; cadrà ne’ gorghi
del tempo il nome mio, su cui maligne
tele d’alto silenzio il vulgo ordisce;
ma l’Ideal de’ giorni miei, la face,
che il misero corpo oggi consuma
splenderà sotto a’ firmamenti eterna.

(da Empedocle e altri versi, Catania, Niccolò Giannotta Editore, 1892)

Mario Rapisardi (all’anagrafe Rapisarda) nacque a Catania nel 1844. Educato sui classici, manifestò appena adolescente la sua vena poetica, scrivendo odi, inni e poemetti tutti intessuti di valori patriottici e risorgimentali. Figlio di un patrocinatore legale, frequentò giurisprudenza per accontentare il padre, ma ben presto l’abbandonò per dedicarsi totalmente alla letteratura. Lettore accanito di Alfieri, Monti e Foscolo, amò in modo particolare Leopardi, in omaggio al quale modificò il suo cognome in Rapisardi. Fervente repubblicano e mazziniano, fu in contatto con alcuni degli intellettuali più vista dell’epoca come Giovanni Prati e Niccolò Tommaseo, che conobbe durante i suoi frequenti soggiorni a Firenze. Proprio a Firenze pubblicò nel 1868 il poema “La Palingenesi” che, insieme ad alcune raccolte di liriche, gli guadagnò notorietà e apprezzamento. Qualche anno dopo fu nominato professore ordinario di letteratura all’Università di Catania, diventando per gli studenti un vero e proprio idolo. Anima inquieta e introversa, fu autore di una grande mole di scritti dove il dolore esistenziale dell’uomo si esprime in un linguaggio lirico struggente tutto intriso di titanismo, motivi classici e romantici e una forte impronta leopardiana. A questa poetica, il “Vate etneo” (come fu soprannominato dai contemporanei) rimase fedele fino alla fine, rifiutando di aderire alle nuove avanguardie letterarie nella convinzione che la missione del poeta “non è di fondar nuove scuole o di aggregarsi alle antiche; egli ha il dovere di esprimere se stesso e di rappresentare la realtà come egli la vede e la sente, con tutta sincerità, col calore e il colore dell’anima sua.” Tra le sue opere migliori ricordiamo, oltre alla già citata “Palingenesi” (1868), i poemi “Lucifero” (1877) e “Atlantide” (1894), le raccolte poetiche “Le ricordanze” (1872) e “Poesie religiose” (1887), nonchè varie traduzioni di classici latini e di poeti romantici stranieri. Morì a Catania nel 1912.

Donatella Pezzino

Immagine : “Mario Rapisardi a passeggio”, disegno di Antonino Gandolfo, fine XIX secolo

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1 Comment

Donatella Pezzino è una persona colta dall’animo sensibile. La sua riservatezza non le permette di mostrare le sue doti culturali. Ma chi, come me, ha avuto la fortuna di scambiare idee e pareri, sa bene che queste mie parole sono insufficienti.
So che Donatella non leggerà mai questo commento. Lo scrivo per tutti coloro che verranno a leggere questa pagina.

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