Canto d’ultimo laureato errante in città (di Ludovica Lanini)

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Il tanfo da sbratto del guano di storno

-prototipico d’un giorno di pioggia-

ti attanaglia la gola

ti occlude il respiro

mentre avanzi a tentoni nel pantano noto

tuo iracheno

di materna città .

 

L’agonia glicemica

del traffico a fatica

ti accompagna complice

affiancandoti il cammino

cullandoti molle

di ritmo ancestrale.

 

Procedi a programma cappuccio calato

percorsi già noti

però vuoti

-il ventre ha sgravato

di feti dispersi-

tu solo a guadare

rigagnoli stagnanti

di mota calda

immota

che ti avvolge ti culla ti incanta

ti rivolge violenta sul fondo;

viottoli dolci

battuti a sei, venti, dodici..

che non riconosci.

Ormai corri perché

non uno è rimasto

la strada ti è estranea

cercare riparo

la pioggia già fitta

fuggire lontano

però la palude…

non sai dove sei.

 

Soltanto il fluo accecante

ad accendersi d’angolo

di ombrelli abusivi da giorno di pioggia

ti ricorda che sei

nello stesso medesimo luogo di allora.

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