L’ideale secondo il pensiero di Nietzsche e Jung

Un uomo che percepisce l’attimo presente non ha bisogno dell’ideale. Questo secondo Nietzsche è il manifestarsi dell’uomo nuovo, di colui il quale non osservava l’ombra del vero della caverna Platonica ma è, egli stesso, il simbolo della verità, in quanto libero fluire senza un senso compiuto. Egli stesso quindi è uno sgorgare magmatico di pura creazione, perciò scevra dalla volontà umana in quanto energia inconscia che chiede di venire a galla. L’uomo, come dimostrano le scoperte della moderna psicologia, crea immagini a prescindere dalla propria volontà e normalmente si manifesta nei sogni e nell’immaginazione. Però se la volontà si pone in netto contrasto con la fertilità del creare, ne incaglia la forza propulsiva diventando sterile.
L’idealismo, secondo questa visione, si contrappone alla vita e quindi all’arte in quanto pone l’essenza dell’uomo nel senso dell’altrove dove regna la staticità e, di conseguenza, dove impera un mondo sicuro ma privo di aneliti verso l’infinito. Difatti la pretesa di demandare le personali responsabilità ad un qualsiasi ideale poggia su basi traballanti. Basi che pongono l’essere umano nella condizione di obbedire all’immagine idealistica. Per questo nella visone di Nietzsche era bene affidarsi alla realtà terrena: gettare le proprie fondamenta sul nero della terra il quale, con la sua impurità, diventa l’unico luogo fertile per la germinazione dei semi dello spirito. Dei punti in comune li troviamo nel Libro Rosso di C. G. Jung. Egli aveva una visione meno radicale e sosteneva come l’ideale potesse essere importante per l’essere umano affinché non si ponesse in contrasto con la sua vita.
In quest’ottica l’ideale è come un sostegno, una meta agognata che motiva all’azione ma va necessariamente abbandonata qualora (o nel momento in cui) il suo compito si esaurisce. Affermava lo psichiatra svizzero: “gli ideali in conformità con la loro natura, sono stati desiderati e pensati, ed esistono in questo senso, solo in questo senso. Ma la loro efficacia è innegabile. Chi pensa di vivere o di poter vivere nella realtà i propri ideali soffre di megalomania e si comporta da pazzo atteggiandosi lui stesso ad ideale: ma l’eroe è caduto. Gli ideali sono mortali per cui è meglio prepararsi alla loro fine […]l’ideale è uno strumento che può essere accantonato in ogni momento, una fiaccola sulla strada buia…” (L. R. Jung, p.157).
L’ideale quindi porta celato il duplice messaggio di rinnovamento e guida nell’oscurità ma pure vi è insito il comando, quel tu devi, che in Nietzsche deve necessariamente essere trasceso, attraverso le celebri tre metamorfosi dello spirito.
La prima è metaforizzata con l’immagine del cammello il quale risponde all’imperativo “tu devi” e non segue la sua volontà ma preferisce porgere la sua vita servizievole nelle mani altrui in modo da garantirsi un minimo di sicurezza e cibo, senza preoccuparsi d’altro. E’ insomma l’allegoria dell’uomo a suo agio nel gregge che vende la propria libertà in cambio di beni rassicuranti. In questo caso il filosofo Tedesco, nel tono profetico che lo contraddistingueva, annunciava la necessità di un cambio di rotta per l’uomo del futuro. Doveva subire una metamorfosi nel “leone”, simbolo della volontà di potenza e capace di ruggire per rendere manifesta la propria autodeterminazione. E’ insomma colui che pretende la libertà dal drago, ossia la società, il quale lo rende schiavo con i suoi comandi intollerabili. Molto pertinente è la rappresentazione che Nietzsche da del drago. Infatti, è simbolo di tutti i valori, dei comportamenti, della morale imperante e della morale stessa. Si tratta in sostanza di tutti quegli atteggiamenti interiorizzati con l’educazione i quali agiscono nell’inconscio, inducendo l’uomo a vivere una vita non autentica. Nietzsche infatti intravede nell’essere umano un creatore di valori utili alla sua vita, un insieme di caratteristiche in grado di potenziare la vita stessa. Il simbolo di questa trasformazione è il leone, un ruggente ribelle che si scaglia contro tutte le imposizioni che lo pongono in uno stato di sottomissione. Egli, con la sua forza animale, distrugge quindi questi modelli di comportamento, questi valori per far spazio all’ultima trasformazione: “Creare valori nuovi – di ciò il leone non è ancora capace: ma crearsi la libertà per una nuova creazione – di questo è capace la potenza del leone.” (Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 23-24). Insomma spetta al leone creare un vuoto dai condizionamenti, essere un terreno fertile per l’ultima trasformazione, quella del fanciullo. Egli è in effetti il vero oltre-uomo. Certamente i fan acritici di Nietzsche vedono nell’ubermensch (superuomo) l’individuo muscolare, la persona priva di valori, l’uomo insomma che è in grado di far valere la propria volontà su tutto e tutti. Tuttavia, ad una lettura attenta, l’oltre uomo è colui che crea per il gusto di creare e il suo fine si esaurisce nella gioia di manifestare il proprio sé senza scopi, un dire sì gioioso alla propria natura senza gravami esterni, con la pura innocenza del gioco. Jung affermava: ” dovremo crescere come un albero che non conosce neppure lui la sua legge. Restiamo invece vincolati alle nostre intenzioni, senza sapere che l’intenzione limita, anzi esclude la vita. Crediamo di poter rischiarare l’oscurità con le intenzioni e in questo modo non cogliamo la luce” (Jung, p.32). In un altro passo Jung affermava che vivere non è necessariamente un piacere anzi sembra più un fardello tragico, pieno di insidie, da percorrere come compito dell’anima e per l’anima, come affermava, tra gli altri, Hillman.
L’ideale non va abbandonato quindi anzi va sostenuto incoraggiato, capendo e carpendo la sua funzione im-permanente e fugace. E’ una sorta di fiaccola che illumina il buio del mare in tempesta ma che, giunti a destinazione, è utile lasciare spegnere, in quanto la sua benefica fiamma cessa il suo effetto. Dovrebbe in sostanza lasciare spazio alla luce di altri “combustibili” più adeguati al cambiamento che si è ottenuto.
L’essenza dell’uomo o se vogliamo l’anima, personalmente l’immagino come il mercurio. Qualcuno ha mai cercato di prendere il mercurio? Sfugge via come una serpe tra i rovi! L’anima dell’uomo non può essere incagliata ma INCANALATA verso mete soffuse e poco chiare ma che lampi e chiarori illuminano ogni tanto il sentiero da percorrere. Nell’occidente, da Cartesio in poi, si è separata in maniera arbitraria la mente logica da quella irrazionale generando, di fatto, le costituenti della scienza moderna. Forse in quel momento era un percorso necessario, era quella fiaccola che serviva a percorrere la necessità di una scienza indubbiamente foriera di grandi vantaggi per l’umanità. Tra gli altri, proprio Jung si accorse di questa scissione e in un capitolo del Libro Rosso avviene un colloquio dello psichiatra (nel sogno) altamente simbolico, quello con Izdubar. Trovo che “l’incontro” di Jung con Izdubar sia uno dei passaggi di maggior pregio del libro per la densità poetica, per la profondità dei contenuti e per la capacità di utilizzare un linguaggio semplice, pur nella complessità dell’argomento. In questo capitolo del Libro (che a mio avviso va letto con moderazione in quanto si avviene avvolti da una specie di inferno dello spirito) troviamo una grande intuizione, specialmente per l’epoca, ossia il necessario incontro tra occidente ed oriente. In tale presentimento Jung credo abbia afferrato, come una tremenda folgorazione, il necessario dialogo e la compenetrazione tra i due sistemi di pensiero orientati rispettivamente al mondo esteriore e a quello interiore. Tale confronto sta oggi diventando una necessità per l’integrazione dell’essere umano e i tempi sono forse maturi per lo sbocciare di un uomo creatore e generatore di valori nuovi. Valori ed ideali che servano l’uomo e non il contrario: perciò mutabili a seconda delle circostanze e delle esigenze. Tra l’altro la sublime immagine dell’uomo occidentale, il quale rischia la cecità a seguito dell’impatto con la sapienza orientale e (a causa dell’accecante “luce del sol levante”) trovo sia una metafora molto potente, in grado di oltrepassare le soglie di una razionalità sempre in agguato. Nel contempo il veleno della scienza occidentale, la stessa razionalità, diventa un toccasana per il potere immenso che può esercitare sull’uomo la pura e mercuriale energia divina, costretta a vivere in una forma limitata e limitante come il corpo umano. Nella visione di Jung difatti, il “divino” è costretto ad accettare la sua tragica ma necessaria “caduta” in modo che si manifesti appieno l’essenza umana.

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