Nota di lettura a “Oltre il bordo” di Franca Alaimo

 

 

La felice prefazione di Eliza Macadan alla nuova silloge di Franca Alaimo “Oltre il bordo”, uscita per i tipi Macabor sul finire di questo pandemico duemilaventi, si chiude con un bellissimo elogio, che è anche un’immagine di grande speranza, per chiunque abbia fede nella parola e nel ruolo che essa gioca nel condurci, con la grazia di una brezza rigeneratrice, nel tempo della gioia: Oltre il bordo è una vela che galleggia tra Cielo e Terra, è una noetica a forma di poetica che rimane sullo scaffale con la lettera “A” della poesia italiana. Si è dunque in potere di una gioia a leggerla, l’Alaimo, giacché per il suo tramite, si alleggerisce il mondo e una nuova gravità ci sostiene, facendoci letteralmente galleggiare tra veglia e sonno, su una vela che ha lo stesso erratico destino della poesia, la stessa abilità a tornare dove non è mai stata.

Qui sono raccolti ventiquattro testi, tanti come le ore del giorno, da un’alba all’altra, ed è un susseguirsi di epifanie composte come in un diario di bordo. La poeta è ancora in penombra e già chiede al lettore di cadere con lei nella leggera impalpabile chiarezza di un risveglio, dentro cartigli di angeli e rondini come se fosse questa già un’indicazione di lettura, la via per cabrare sotto la sua lente, con ali d’oro e fiori bianchi di tiglio, slacciati, sfrangiati, per essere subito rapiti, tirati dai capelli stessi della poesia. Ed eccola nella scintilla improvvisa d’uno scontrino, nel mondo che trova un centimetro di quota, la fiamma che la guarda e poi la perde in un tg dell’una, dov’è ancora un cadere e un risalire di corpi tra le onde e intanto le ore avanzano, e si guardano intorno come a voler fiutare l’esatto spiraglio in cui perdersi, il mezzogiorno che alto sta come un guardiano, la parola che si inchioda nella luce radente, la parola amica che cade, tintinnante e preziosa, da ogni bocca di cielo.

Se devo chiedere qualcosa a un libro, a un libro di poesie, è di finire nel mio occhio come una trasparenza lenta, come uno specchio di antenne sterminate che dia di me una messa a fuoco e del mondo una forma del sognare, che dica cosa non è amore amando il taglio di un perfetto corallo, o di un cristallo il veleno di una luce; che stia nel cuore del mio disordine come una tavola da sparecchiare e tu stai lì a guardarla, mentre una mano tocca il bordo e il mondo cade, oppure vola, vaga, riverbera come una rifrazione di vita in un ricordo che credevi perso.

Tutte le ore del giorno sono cadute dal cuore e Franca le ha raccolte nella sua poesia. La vela ha preso quota, si è messa sul confine, ha detto guarda, ma più ancora se puoi, immagina: tu sei la gemma piccola che suona il verso che ritorna, l’organo d’acqua alle quattro del mattino mentre tutto tace e la luce rientra nel tuo occhio e ogni parola cade, cade.

 

A Franca con affetto

Giovanni Perri

 

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