Riflessioni su “Macbeth” di J. Kurzel

RIFLESSIONI AD ALTA VOCE SU “MACBETH”

di James Kurzel

con Michael Fassbender, Marion Cotillard

Davvero la modernità nel “trattare” (in senso cinematografico, qui si intende) un classico della letteratura sta nella sua rivisitazione selvaggia, totale o parziale?

O, piuttosto, è un atto spudoratamente moderno trasferirlo su schermo tale e quale, nella sua versione originale, rendendogli la giustizia che merita, e cioè la sua imperitura bellezza e attualità (trattandosi appunto di un capolavoro senza tempo)?

Personalmente (non da critico, mi si scampi, ma da semplice spettatrice) trovo che il lavoro di Kurzel, nel rispettare i dialoghi, lasciandoli nella loro toccante e tragica poesia e trasportandoci nell’epoca esatta in cui Shakespeare data la tragedia (XI sec.), senza azzardare,  che so, un ipotetico futuro post (un altro Mad Max, per intenderci) sia un grande atto di coraggio e di amore verso il capolavoro stesso.

Tuttavia, pur non essendo di fronte, per fortuna, agli agghiaccianti errori o alle manipolazioni storiche di Ridley Scott ne “Le crociate”, ci sono, nel film,  piccole traslazioni temporali o l’inserimento di scene (una in particolare) non presenti nella tragedia scritta, che sono però funzionali alla narrazione: sono scelte dettate dall’estro del regista, che non offendono lo sforzo creativo di Shakespeare ma colpiscono la mente dello spettatore e la sua emotività. Penso, per esempio, alla scena, la prima, in cui Macbeth e la moglie, con una schiera di sudditi, coperti con mantelli neri, danno l’addio al figlioletto morto, bruciandolo: una scena che spiega, all’inizio, (poi si capirà nel corso della narrazione cinematografica) la fine, e soprattutto il motivo originario, il canovaccio su cui si snoda gran parte dell’intera vicenda.

Traslazioni temporali, dicevo: scene in cui il tempo presente viene raggiunto dal tempo futuro (in una concezione vagamente eliotiana). Cito l’assassinio di re Duncan. Mentre Macbeth si accanisce sul cugino accoltellandolo con furia, la scena immediatamente cambia, facendoci vedere il “dopo”, per poi tornare repentinamente all’omicidio ancora in corso, in un andirivieni che suggestiona la vista. Un tipo di regia che ricorda molto lo stile di Steve Mc Queen, al quale dobbiamo la prima grande interpretazione di Fassbender, in “Hunger”.

Altra efficace trasposizione temporale, quando i pensieri di Lady Macbeth ci vengono mostrati nella realizzazione, nel mezzo della loro nascita.

Infine, ma avrei forse dovuto partire da qui, è da sottolineare la grande presenza del paesaggio, quasi invadente, in alcune fasi.

Non ho potuto fare a meno, anche qui, di vederci una perfetta Waste Land, disadorna e povera di contenuti, altamente simbolica, ovviamente, per la bassezza e la pochezza dei sentimenti che pervadono l’intera opera.

Trovo questo sottile panismo di fondo efficace e molto lirico.

E gli attori?

Credo che il pericolo che ogni regista rischi, lavorando con Fassbender, sia quello di ritrovarsi un film in cui la presenza fisica e la bellezza dell’attore irlandese, sovrasti il personaggio e il film. Non è così. Ho visto molti dei film girati da Fassbender (dai blockbusters a quelli più intimisti, e penso al già citato “Hunger” piuttosto che a “Shame”) e mai la sua prestanza fisica ha battuto la sua bravura. Certo, son donna e noto (!), ma il suo talento è addirittura superiore a cotanto fisico.

Dopo aver impersonato Bobby Sands, Macbeth è il ruolo in cui Michael Fassbender ha offerto il meglio di sé. Purtroppo la versione doppiata, pur da uno stratosferico Francesco Prando, non può farci apprezzare completamente il suo istrionico genio interpretativo, ma bastino la faccia di gomma,  il sorriso delirante (“piena di scorpioni è la mia mente”), gli occhi camaleontici, a darci il suo spessore.

Marion Cotillard, dal canto suo, ha dato a Lady Macbeth un viso d’angelo con una ferocia avida ed omicida mai sopra le righe, mai urlata e per questo tagliente e penetrante. I suoi enormi occhi di un azzurro quasi liquido, a tratti, erano parlanti più della sua stessa voce, la sua innata eleganza ha conferito al personaggio una leggiadria così stonata rispetto alla sua malvagità da renderla affascinante.

Niente voti e nessuna stellina.

Solo il suggerimento di non perderlo.

macbeth

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