Sono convinto che la poesia non serva a nulla e di certo non salverà il mondo.
Sono altrettanto convinto, però, che non possiamo farne a meno: io, per lo meno, non posso rinunciarvi.
Il mondo poetico poi è un microcosmo pieno di difetti, intriso com’è di autoreferenzialità, gelosie, ripicche, rivalità da cortile, piccinerie, ego debordanti, persino scambi di insulti e cattiverie piccole e grandi.
È uno stagno nel quale si sguazza, cercando di tenere la testa fuori e respirare, cercando di dare un senso al proprio scrivere e adoperandosi per scoprire e leggere le cose che già esistono e che hanno senso.
Perché, per fortuna, in questo microcosmo pur così imperfetto, c’è anche tanto di buono.
Sono uno di quelli che legge molta poesia: credo che sia imprescindibile farlo, se vuoi soltanto azzardarti a scrivere qualcosa.
Personalmente non credo che la poesia debba dare certezze, dire verità incontrovertibili o stabilire dogmi, ma che debba, al contrario, stimolare il lettore instillando in esso dubbi e incertezze.
Amo la poesia complessa (che a volte può essere anche complicata) e penso che non sia necessario che debba essere per forza capita: questo mio pensiero riguarda non soltanto la poesia, ma l’arte in genere e mi sono trovato in contrasto spesse volte con amiche e amici in merito a questo mio convincimento.
Al di là del fatto che la poesia la leggano in pochi, che i libri non si vendano e che i poeti sembrino destinati a un futuro simile a quello dei panda nelle riserve ambientali, penso (e qui concludo) che la poesia sia una forma di espressione artistica tutt’ora estremamente attuale, oserei dire addirittura moderna.
Se in quello che ho fin qui detto si possono palesare delle contraddizioni, non c’è nulla di male: che cos’è in fondo, la poesia, se non un insieme infinito di contraddizioni?
il peso delle parole
riappare (eccolo) il peso delle parole
ostinato e greve confuso con
la grammatura della carta
per astratte materie e indivisibili misure
verso distinte e confinanti unità
si riavvolge il labirinto dei pensieri degli elementi
assoluti così imperfettamente congrui i solchi
le indelebili macchie fra le righe e gli spazi
poi la coerenza da non dimenticare mai
lo stile cercato nei cassetti e dentro la polvere dei libri
la fatica della ricognizione tutto ha un inizio
nulla si conclude qualcosa rimarrà o
magari no forse soltanto un peso inutile
un debordante avanzo di vuoto
e la scialba consapevolezza che il
tempo sposta le nuvole e
inchioda i sentimenti
alle pareti per ogni anima perduta
(2018)
il centro del mondo
ma io lo ricordo ancora il nostro
primo bacio, ricordo bene la fontana
al centro della piazza, nel borgo
toscano che era in quel momento
il centro del mondo
del nostro mondo
delle viscerali emozioni, nostre
incorruttibili e torride
di tutto quell’essere così
semplicemente quello che eravamo
quello che consapevoli ancora saremo
(2020)
nulla da temere
tutto quello che pensi proprio tutto
sminuzzato e ridefinito
la voce rimodulata
nella curva del tempo
puoi scendere di corsa
le scale, ora
il tracciato elettrocardiografico
risponde bene, nulla da temere
a parte questo statico senso
di deprecabile solitudine
(2020)
Noce 2020
strade infinite, oltre lo schermo
impercorribili e irraggiungibili
come un sentiero di azzurro siderale
pietre, segni indistinti, dubbi
e un pezzo di carta appallottolato
i dispositivi di plastica monouso
abbandonati nel deserto inesplorato
qualcuno si muove lentamente
altri corrono scomposti e veloci
sono ormai smarrite le impronte di ieri
di quando un foglio di calendario
ti gettava dietro le spalle il segnale
dell’arrivo e un minuto all’occorrenza
sapeva durare più a lungo della paura
(2020)
rumore
tutto questo rumore che copre
ogni nostra azione ogni nostro
pensiero, che ammorba le case
le strade, inquina la ragione
percuote il cielo annerendolo
il rumore che sporca l’aria
travolge i vetri chiusi penetra
le serrande abbassate
questo rumore fastidioso e volgare
immagine di un’umanità imbarbarita
il rumore che ti fa imprecare
a volte piangere più spesso bestemmiare
scende come mandria furiosa
sconquassa assale fagocita
sbaraglia umilia rompe
tutto questo rumore
insopportabile e opprimente
poi d’improvviso più niente
(2020)
aggettivi
attenzione al prossimo bagliore
interromperà il battito
della farfalla
e la corsa a valle dell’acqua
un intero millennio in un istante
a balenare di fragore muto
uno scempio di detonazione
toglierà il respiro agli animali
e non ci sarà spazio non più
spazio sufficiente non ce ne sarà
un infinito raccolto infinitesimale
nell’orizzonte buco nero
la memoria spaccata in due
gli aggettivi ormai finiti
(2020)
dagli occhi
mi esce dagli occhi questa strana
e anche dal cuore è anche il cuore
mi esce rientra ritorna come apparizione
deglutire il suono del giorno
vissuto con masticazione lenta
esce dagli occhi questa strana
alimentazione e si prova a volte
a ristabilire il valore nutrizionale
dagli occhi questo strano nutrimento
dello spirito e del corpo le membra sfasate
confusa apparizione che esce e rientra
occhi questa strana artefatta
cognizione e ricognizione rifiuto e opposizione
spalancata la bocca lo sguardo si confonde
di nutrizione che si fa forma rappresa
mi esce dagli occhi questa strana
abbondanza di forma e contenuto *
*(osservando meglio, da vicino, non si vedeva nulla)
(2020)
zero-sette-zero-otto
Le foglie calpestate per abitudine
cercando di dare un senso
al passo, mai così insicuro.
Nessun lamento dal centro della terra
né tracce di mani o capelli strappati
nessuna voce a infrangere il silenzio.
Arriva intenso l’odore: questa
non materia, così immobile e guasta.
Ci si guarda attorno, puntando l’occhio
a indefinibili confini da marcare
si cerca il guinzaglio smarrito
oppure la moneta conservata
da riporre nella tasca.
Qualcuno è pronto a offrire alternative:
l’indicazione per una via di fuga
il metodo infallibile per ringiovanire
o la riscrittura di un moderno vangelo.
Nessuna voce dal centro della terra
nessun lamento dalla tromba delle scale
solo qualche traccia umida sulle foglie
e un passo ancora non del tutto ritrovato.
(2020)
incidenti di percorso
ai margini di un marciapiede irrisolto
di una foresta pluviale incompleta
a ridosso di una montagna incantata
di un equinozio rumoroso
piove un catalogo di nubi gialle
i visi delle donne hanno rughe nuove
amo vederle con la pelle bagnata
scuotere i capelli nell’uscire
dall’acqua ed è in quel preciso istante
che ritrovo la tempesta raccolta
in un bicchiere di carta è in quel
preciso istante che ricordo assai bene
certi tragici amori non corrisposti
che cos’erano in fondo se non
banali incidenti di percorso
piccole macchie da cancellare
fotografie da sminuzzare
tralasciando il malessere oscuro
solo così avverrà la liberazione
non ci saranno inopportuni ricordi
non ne rimarrà nulla proprio come
una luce all’improvviso spenta
un foglio strappato un ultimo respiro
proprio come un’impronta sulla sabbia
in un giorno afoso di prima estate
(2021)
Enea Roversi è nato a Bologna, dove vive. Si occupa di poesia da molti anni, collaborando con diverse realtà. Più volte premiato e segnalato in numerosi concorsi, è stato pubblicato su riviste, antologie e blog letterari e ha partecipato a diverse letture e rassegne poetiche. Le sue ultime raccolte pubblicate sono: Incroci obbligati (Arcipelago Itaca, 2019) e Coleoptera (Puntoacapo Editrice, 2020). Fa parte dello staff organizzativo del festival Bologna in Lettere fin dalla prima edizione. Si occupa anche di arti figurative (collage e tecnica mista). Gestisce il blog Tragico Alverman e il sito www.enearoversi.it .
1 Comment
Grazie a Bibbia d’Asfalto per aver ospitato i miei testi e un grazie particolare a Stefania Di Lino.