Adam Vaccaro | Inediti 2021

 

 

 

Note a margine – del fare poesia.

Adam Vaccaro

 

Cercherò qui di riprendere alcuni dei punti per me fondanti, enucleati lungo il mio (ahimè) non breve percorso di ricerca intorno al fare poesia, oggi e non solo.

Il primo riguarda l’indefinibilità e l’interminabilità della poesia, come diceva Giuliano Gramigna. O, in versi memorabili, Roberto Sanesi: “Perché portare a termine/ quando nessuno, in giardino,/ ha mai visto il mio glicine concluso”. La bellezza, anche in poesia, oscilla dunque per me su una tensione di apertura e di interminabilità, che comporta la sospensione del senso, tanto da titolare un mio libro “La casa sospesa”.  Conclusione che però rimane aperta a serie di domande, oltre che sui sensi e significati specifici di un testo, sul perché e per cosa fare poesia, oggi in particolare – se l’intento non è quello di essere moderni, postmoderni, all’avanguardia, minimalisti, arrabbiati o altro, ma semplicemente presenti. Dando cioè un contributo di conoscenza e di senso delle mille contraddizioni dell’esistente, personale e collettivo.

Domanda quest’ultima necessaria, ancor più davanti alle mille forme, più che dell’albero, della foresta della poesia contemporanea. Domanda, alla quale chi pretende di farla, credo debba dare qualche risposta.

Un glicine e ogni albero, come ogni altro singolo essere vivente, ha inscritto in sé il destino della propria morte, necessaria co-autrice della vita più ampia della specie o della foresta di cui fa parte (un mio verso di anni fa diceva: “la morte non esiste, assiste”, dando a tale termine senso non passivo, ma attivo del mondo contadino di chi assiste il fuoco).

E la foresta, come ogni altro universo, è anche intreccio di lotte tra e dentro le specie, in cui le più forti e vincenti non è detto siano le migliori o le più auspicabili. Come insegna Darwin, il risultato migliore non è sempre garantito.

Anche nella foresta della poesia, si affermano oggi malanni deleteri di supponenze, interessi familistici e di gruppi con contrapposizioni inappellabili e logiche monoteistiche di una deità che nulla deve dire o giustificare del proprio fare. La molteplicità si articola in somma di chiusure di un mondo a parte, i cui sensi e significati tendono a rimanere sospesi indefinitamente nell’alto dei cieli. Che pare rozzo e patetico interrogare da parte del Resto.

L’insieme tende a enucleare (ricordando tesi integrate nella mia ricerca di fondo dell’Adiacenza, di qualche decennio fa) due rive, una che estremizza la sua inutilità mercantile, fino a declinarla in termini assoluti e antropologici. È la riva che chiamo dell’iperdeterminazione del significante, appagata di sé o, se vogliamo, autoreferenziale e deresponsabilizzata nei confronti del lettore/fruitore. Il quale non stia a porsi domande o a porre quella domanda all’Autore. Legga, ascolti i suoni inanellati e ne tragga, se è capace, piacere e sensi. È la riva che pone l’accento sui giochi di parole o del mito moderno/lacaniano dell’Altro della lingua che parla e crea il mondo, la lingua anterem, che precede le cose e non il contrario, che accentua una componente pur costitutiva e imprescindibile della poesia quale è la fascinazione o l’effetto di meraviglia sonora. La riva su cui siede il creator dal nulla, che come carne di Dio è, e non deve spiegare alcunché. Il senso e i significati siano perciò diafani e impalpabili, se non indecifrabili. E non meraviglia se poi molti possibili fruitori non vengano attratti dai libri e dalle letture pubbliche di poesia.

All’opposto, sull’altra riva, si apparecchia l’iperdeterminazione del significato, ornando al più di divertissements verbali la banalità o l’illusione di dire tutto, offrendo una pietanza cui nulla si può aggiungere. E che non può soddisfare la fame più acuta di cui oggi soffriamo. Della mancanza di speranza e della perdita del senso, di cui cercheremo di toccare qui qualche chiodo.

Tra le due rive, non saprei dire oggi quale prevalga. Da parte mia ricerco quella che ho denominato, con immagine utopica e paradossale, Terza riva, che tenda a coniugare complessità e transitività, adiacente alla totalità del Soggetto Scrivente e del mondo, ricca di sensi e domande sospese ma anche di risposte e aperture rispetto al contesto chiuso e senza speranza che i poteri in atto ci offrono. Contesto che si rafforza quanto più i comportamenti e il dire non mettono in comune, non creano comunità e condivisione ma solo somma fàtica di io io, in ridicola paranoica competizione – acido succo della libertà declinabile qui e ora.

È un contesto dominato dall’ideologia neoliberista e infarcito di giochi di parole (ben più micidiali di quelli di tanti aspiranti poeti) nel mare di menzogne ammannite con parole-mantra – riforme, cambiamento, crescita, civiltà, democrazia – col fine gattopardesco ed eterno del potere, della conservazione dell’esistente e di cambiare tutto per non cambiare nulla. Una costante azione lobotomica e di inebetimento politico e tecnologico, di cui sono immagine adeguata i felici imbecilli esposti dalla pubblicità.

Anche sul piano del contesto, non meraviglia se poi i più fuggono da ogni ritualità democratica, nauseati dal suo livello di falsità e corruzione. Si è parlato di catastrofe antropologica e basta vedere l’immonda tragicommedia cui stiamo assistendo rispetto agli immigrati, tra critiche xenofobe e cialtronismi buonisti che spesso (in Italia) si intrecciano con organizzazioni criminali.

Credo che la poesia non debba fuggire in un suo alveo neoparnassiano, ma ricercare energie per fare un ben altro verso, innervato in una visione libera e critica, arduo ossimoro capace di riaprire orizzonti diversi di un’utopia umana che pare irrimediabilmente uccisa dalla realtà attuale. Per questo credo in vitali segni di canto incisi tra le rughe della barbarie in atto.

E per farlo, ho auspicato anni fa l’immagine di una sua oscillazione tra stanza e strada, modalità che trovo sia nei poeti italiani che più mi interessano, sia in alcuni poeti residenti in America, che da decenni svolgono anche funzioni di promozione della poesia italiana contemporanea (vedi De Palchi, Fontanella, Valesio).

Concludendo queste brevi note, concordo con chi – come Antonio Porta – afferma(va) che la poesia è, come ogni altra attività umana, parte del mondo e non mondo a parte, che quindi è solo qui che può cercare modi e forme per essere presente, riuscendo a transitare e a muovere (come dice Alfredo De Palchi) i sensi del fruitore. Che non scappa se trova parole che, a partire dall’esperienza di chi scrive, sappiano dire e misurarsi con gli abissi comuni, con il bisogno di condivisione e di amore, di bellezza e canto, corpi (come diceva Gramigna) della fame acuta che oggi (e sempre) sentiamo, di parole capaci di fare speranza.

 

Adam Vaccaro

 

 

 

Vilma Venturi, classe 1920, madre di mia moglie, staffetta della Resistenza e poi prima giornalista donna della Rai, è mancata il 5 aprile scorso in una RSA di Milano

Buon 25 aprile!

Adam Vaccaro

 

 

Lettera di Vilma

 

Ciao cari miei! Ah che viaggio è stato

per me pieno di ardori tra i tanti freni!

È questo solo che ora ricordo mentre

corro libera in una immensità che –

che non immaginavo nemmeno

nei miei più furenti andirivieni

in bicicletta sonante come ‘na

bagnarola – ridacchiava mamma

 

Nerina lumandomi accaldata nel suo

forno davanti alla bresache avvampava

il pane e un po’ anche me dicendo va là

che ‘rivi come ‘n’oca affannata all’alba!

Ah quell’Alba, quell’Alba rinata come

il Natale di primavera degli anni ‘40

dopo la cacciata di topi e tedeschi

 

A caccia di noi che cantando bella ciao

gridavamo viva la Patria e nascondevamo

armi e salami e formaggi in cunicoli che

solo noi sapevamo Resistenti con quel

vento dentro – che ci ha guidato fino a

questa palude senza guida e senza idee

 

evirata di vita e colma solo di mille invisibili

virus – a voi spetta il tempo di inventare un vento

capace di liberare l’aria e i vostri cuori spersi – è

difficile come per noi allora in quel tempo così

lontano eppure per me ancora così vivo che

 

che mi dà ancora il fiato di dirvi, forza! la vita è

ancora vostra e sta sola nelle vostre mani – solo

questo è il regalo che mi aspetto bei burdeli

mentre volo libera in questa terra immensa e nuova

come in quell’alba rossa di Romagna di tanti anni fa!

 

8 aprile 2020

Adam Vaccaro

 

 

***

In questo Fiume

Fiume blu tra riflessi di cielo e

terra di latte di anime accese fuori

dalle cloache – miracolato mondo che

rinasce tra cielo e terra e non smette –

Aperti e slacciati anche i bottoni

della camicia in cerca d’aria –

Ma ora in questo Fiume

di latte e sassi bianchi

rifulgi tu pietra blu

5 febbraio 2021

***

Il sorriso dell’ignoto portaordini

 

Riemergi in me, viso pulito di staffetta militare

in Croazia, ignoto portaordini di ordini insensati

e senza futuro, che presto sarebbero stati disegni

persi nell’aria livida di morti in Croazia e in Fosse

comuni in Italia, in Europa e nel Mondo.

Ma ora rivedo

te col viso inciso della foto che mia madre mi mostrava

come una sacra icona custodita in un’anta dell’armadio

piantata nella mia memoria; guarda, questo è tuo padre!

Con quel tuo sorriso rimasto in me più forte del confuso

tramestio intorno a un disfatto viso di ritorno a casa dal

tuo inferno tedesco, mentre avvolgevi stupite e ignare

le mie pupille

 

12 febbraio 2021

 

 

***

 

 

Trecentosessanta sogni

 

Con pochi infidi compagni

da tempo non stiamo più

lungo il fiume dei tifosi

ridotti a bande fedeli

al vento che vince

o a quello che

rugge e finge

di essere altro.

E non offriamo rose

senza spine nemmeno

alla cara vittima che piange.

Con pochi compagni da tempo

non stiamo più chiusi in quest’ansa

di fiume immemore e grottesca con ismi

di rifluvi ridicoli da bar sessantotteschi,

ma lungo quella poco affollata che gira gira

placata in quest’ansa di radianti trecento

sessanta senza angoli acuti e ottusi – aperta

e lìbera e ci ritrovi-amo tra scogli resistenti

che pungono come una casa distrutta che

offre ancora fondamenti d’inventio e bi

sogni di ricostruzione tra ridenti pori

e colori di libertà in cui riparo in folle

e non ne esco

 

1 novembre 2020

 

 

***

 

 

L’acqua alata

 

C’era una fonte chiamata acqualata

così limpida e lieve da veder volare quasi

l’anima infilzata dal don che bofonchiava

dalla grata del confessionale o col dito puntato

fulminava dal pulpito tutte le colpe e i peccati.

 

C’era una fonte che dicono avesse fatto miracoli

per un paese di sassi – ché irrorato dal suo canto di

latte aveva sentori di vita e d’infinito – un’acqua

che poteva dare anche l’illusione di tergere

tutti i peccati e gli orrori del mondo.

 

Milano, luglio 2016

 

 

***

 

 

Discantiche(*)

 

Ruota ruota come un pavone

o un mestolo nel minestrone

se la iena non è ancora piena

ché la vittima va cotta al gelo

infarcita di paura – suo gustoso

piatto freddo di passione d’es

plosione– d’escrescente ridente

natura che ama la carne

condita dalla salita in cielo

di ogni respiro di coscienza

di ogni sospiro di speranza

 

Ruota ruota Drago tra i Monti

prima di azzannare i nostri conti

debiti e tutto quello che ci manca

da esperto del Vuoto che ama

la follia d’hybris di dorarlo

dal palo più alto che splende

in cima al palazzo di menzogne

e lazzi – espansi in schermi e

onde–dolcemente cullanti a

farcire menti e mondi uccisi dal

suo dominio su questa gabbia

addobbata da drappi e stracci di

libertà – gioiosi cocci e lacci di

dura corona sul cuore d’Europa.

 

Ruota ruota mio cuore es

pulso quasi ucciso e re

cluso da questa banda ri

dente di catene e denti

d’oro – eredi perfetti di Cia

lis e ridicoli cazzuti di una

banda alla Meckie Messer

 

31 maggio 2019

 

(*) Poesia inserita nel progetto di Milanocosa per BookCity 2019, Echi di teatro-Voci di Poesia.

 

 

Notizia sintetica biobibliografica

 

Adam Vaccaro, poeta e critico nato a Bonefro, in Molise, nel 1940, vive a Milano da più di 60 anni. Ha pubblicato varie raccolte di poesie, tra le ultime: La casa sospesa, Novi Ligure 2003, La piuma e l’artiglio, Editoria&Spettacolo, Roma 2006; Seeds, New York 2014, scelta da Alfredo De Palchi per Chelsea Editions, con traduzione e introduzione di Sean Mark; Tra Lampi e Corti, SayaEd, Milano 2019 e Identità Bonefrana, Di Felice Edizioni, Martinsicuro 2020. Ha realizzato inoltre pubblicazioni d’arte con Romolo Calciati e altri, con prefazioni di Dante Maffia, Eleonora Fiorani, Gio Ferri e Mario Lunetta. Con Giuliano Zosi e altri musicisti, ha realizzato concerti di musica e poesia.

È presente nell’Atlante della Poesia contemporanea curato dall’Università di Bologna, oltre che in molti blog e raccolte antologiche. E collabora a riviste e giornali con testi poetici e critici. Sul versante critico, ha pubblicato: Ricerche e forme di Adiacenza, Asefi, Milano 2001, Premio Laboratorio Arti di Milano 2001. È tra i saggisti di: Sotto la superficie – quaderno sulla poesia contemporanea de “La Mosca di Milano”, Bocca, Milano 2004; La Poesia e la carne, La Vita Felice, Milano 2009. Tra gli altri riconoscimenti: Violetta di Soragna 2005, e Premio Astrolabio, Pisa 2007. È stato tradotto in spagnolo e in inglese.

Ha fondato e presiede Milanocosa (www.milanocosa.it), dal 2000, Associazione con cui ha curato molte iniziative e pubblicazioni: Poesia in azione, Bunker Poetico, alla 49a Biennale d’Arte di Venezia 2001; “Scritture/Realtà – Linguaggi e discipline a confronto”, 2003; 7 parole del mondo contemporaneo, 2005; Milano: Storia e Immaginazione, 2011; Il giardiniere contro il becchino, Atti del convegno 2009 su Antonio Porta, 2012. Cura la Rivista online Adiacenze, materiali di ricerca e informazione culturale del Sito di Milanocosa.

 

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