Non sarebbe poi male
riscoprire il bello di una curva.
Prolungare il compendio fino allo stremo
rigirando tempo e spazio tra le dita.
Allungarsi e flettere
per osservare il giorno di sbieco
in quell’urlo che lontano ci schiera.
Con la certezza di terminare, dove io stesso cado
come un piombino
e la mia lenza scuote per lasciarmi sospeso.
Esitare: il tanto che basta
per ammirarne il potere
pronunciando l’accento
che ci infilza sull’amo
di una parola finita.