La carta, ti dico, la carta è ricordo
che si fa barca
come lei viaggia
con l’albero spoglio
gli spigoli del futuro
che vedi
proprio dietro alla colonna di siepi
e più giù, invece, le camicie
stese a raccogliere il vento.
Ascolta, proprio lì,
nell’imbarco del mattino
appena salpato dal sole
proprio lì vedi una piccola casa:
un tetto, una criniera di fumo,
le tegole come un manto di bestia mansueta
in basso invece
una piccola porta bianca
le imposte: due denti da cavallo
da dove esce un uomo
che ho chiamato Il capitano.
Il capitano
Ha due occhi da bambina
una fascia da pirata
e una faccia dura da conquista.
Tutto a un tratto fa un gesto sconcertante:
arresta le vele
ammaina barriere
con l’arte di disattivare
ogni catarsi esteriore.
Nel vento non cerca le distanze
anche perché
il suolo è liquido
e infiamma a sommi capi
ogni nuvola nel vuoto
cielo.
Lui crede sia bello
soffermarsi nel bacio del sole
appena si sveste della notte.
E fa lunghi viaggi con la mano
tanto da disegnare
una donna raccolta nelle seta
come un piccolo risveglio nelle braccia.
Lui disse una volta
che una matita
[quella sua matita che ha sempre tra le dita]
fa parlare le chimere
è così che il problema che evidenzia
non sembra essere più l’amore
ma le cinture che abbandona nel cuore.