Lettera a Babèt

C’è questa luna morsicata in mezzo al cielo e stanotte illumina ogni cosa.

Io mi chiamo Andrea e stanotte mi sono perso, stavo cercando qualcosa che adesso non ricordo, non ha importanza, era già strano pensare di trovare qualcosa nelle profondità dei tuoi occhi, quindi il non trovare niente non mi ha particolarmente scosso, tornare indietro da quell’abisso, ecco, la parte importante.

Esistono due tipi di buio secondo me, il primo è il buiovuoto, quello che trovo quando manca la luce in casa e in tutto il quartiere perché si sono sovraccaricate le centraline rionali e mi tocca muovermi a passettini piccoli con le mani avanti e mi sorprendo a sobbalzare quando inciampo in qualcosa, l’altro è il buiodenso. Il buiodenso all’inizio si appiccica alla faccia e alle braccia e si prova solo una sensazione di fastidio, come con le ragnatele o con la pellicola per alimenti che non riesco mai a strappare bene e mi si aggroviglia sempre un po’ intorno alle dita, il buiodenso però non si limita a posarsi, il buiodenso si lascia assorbire, un po’ come lo smog o il fritto di cucina dopo dodici ore di spadellamenti, non ci si rende minimamente conto di averlo in circolo, non ci si rende minimamente conto di diventare sempre un po’ più buiodensi, a poco a poco, sempre di più, sempre più oscuri, sempre più abissi, sempre più contaminati.

Il buiodenso è contagioso, si propaga, ormai è inarrestabile ne sono certo, l’ho visto, l’ho visto ridurre persone comuni a informi ammassi di buiodenso che si trascinano con la testa chinata nel loro buio, lungo le strade, dentro i bar, per giorni, ovunque, schifosi ammassi contagiosi di buiodenso.

E anchio ormai mi ritrovo invischiato, contaminato, solamente un veicolo di contagio che prova a ricordarsi come si fa a respirare, che prova a ricordarsi come si esce dal tuo abisso, Babèt, che prova a rendersi conto che ormai c’è solo questa interminabile distesa di niente.

C’è una guerra Babèt, c’è una guerra, dentro e fuori, laggiù ma anche qui

tra le tue costole e il mio ombelico, c’è questa guerra dicevo che è quasi perfetta, talmente perfetta che a volte qualcuno sbraita un colore a caso e tutti noi pensiamo che il carrarmato del nemico stia marciando sul viale dietro casa e stia venendo a prenderci, e ci vuole un bello sforzo di immaginazione

per far passare un carrarmato sul vialetto dietro casa che è talmente stretto che a volte con le macchine parcheggiate male non ci passa neanche il camion della raccolta differenziata e si accumulano i sacchi neri un po’ ovunque, però noi continuiamo ad aver paura di questo carrarmato colorato tipo di verde o di blu o di giallo o di rosso acceso come la nostra ford ka incidentata e lasciata ad arrugginire in garage, eh Babèt, te lo immagini un carrarmato rosso che cingola l’asfalto appena rifatto nella curva prima dello stadio? E dire che avevano ricostruito le vene delle tubature dell’acqua proprio l’altro giorno, eppure si, c’è questa guerra che procede ormai da quasi vent’anni ma tutti dicono che è sempre il primo giorno, che domani non ci sarà speranza per il nemico che anche noi abbiamo i nostri carrarmati colorati e marceremo nei vialetti sul retro delle case del nemico in piena notte quando sta per addormentarsi guardando un film alla televisione, poi però sai cos’è che questa guerra è un po’ invisibile e questi nemici anche loro sono un po’ invisibili e anche noi per non essere da meno diventiamo un po’ invisibili e quindi siccome non si vede più niente perchè siamo tutti invisibili dobbiamo creare i morti,

far uscire il sangue e le budella, far schizzare i cervelli e infilare i cazzi nelle orecchie e poi far scoppiare le case, gli ospedali, i bambini e i mercati e diventare sempre più cattivi ed invisibili, per far capire che siamo in guerra

anche se siamo invisibili, anche se la guerra è invisibile, dobbiamo lasciare i cadaveri e il sangue per ricordarci un po’ come eravamo prima di diventare invisibili.

Anche tu hai paura Babèt?

Perché io ne ho e parecchia anche, mi sto blindando e frastagliando in milioni di piccoli pezzi, tengo solo la corteccia per illudere gli altri che si, sono ancora io, come gli spauracchi che si trovano in certe campi non ancora civilizzati dai dissuasori ad ultrasuoni, resto in piedi per via di un palo marcio di esperienza conficcato in culo, assediato e assordato da stormi di cornacchie, carbonizzato lentamente da un sole altamente infiammabile.

Ho paura Babèt, ho anche una cartina geografica immaginaria e piano piano stanno bombardando tutte le mie città di fuga, ho paura di non aver più una via di fuga mentale dove rifugiarmi in caso ci siano delle complicazioni, ci pensi mai alle complicazioni, eh Babèt?! Cosa dovrei fare in caso non riesca più a riconoscermi allo specchio? Come dovrò vestirmi quel giorno? Dovrò continuare a bere caffè? Ho paura Babèt, ho anche dei fiammiferi su cui meditare e da qualche parte in fondo al mio cuore con la cerniera lampo dovrei aver salvato delle fotografie su floppy disk, tutte queste cose ormai sono inservibili e dovrò sbrigarmi a formattare tutto, prima che qualcuno risalga alla mia attuale posizione e mi strappi via anche quest’ultima notte allunata.

 

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