Lucio Piccolo / Caffè letterario

Lunghi tralci, lunghi tralci mi strinsero
mi chiusero le braccia;
specchiavo conca notturna
d’acque montane, sapevo
le radici e le fonti, alla bruma
leggera passavano l’ombre
dei giorni, sorgevano i volti
fra la speranza e il dolore;
ed era tepore primevo
ritorno e infinita carezza.
Ma quando il risveglio
m’apre i mattini e mi posa
su le sponde della luce
reco un balsamo ignoto
un olio che mi fa dolci
le cose, in silenzio consuma,
e mi ridona il mondo
in risonanze, in memorie
(e indugiano i giorni in lenti
meriggi, in vesperi immensi).
Così vado fra gli echi le nuvole e i raggi,
non m’è straniera la spiga
della lavanda che brucia l’aria
o il petalo bianco ai cespugli
furtivi di vento.
Dietro le colline respira
la stagione, scendono i declivi,
ed è così molle il cammino
sui viali dove le svolte
spengono l’ansia dei passi
che gli orizzonti fra i rami
svaniscono, sorgono ancora,
in abbandono di spazio.
Lunghi tralci, lunghi tralci mi strinsero
mi chiusero le braccia
ed era ritorno, promessa;
ma nella luce, nel giorno
ove inclino l’ore al canto
e va l’acqua fievole nella creta che brucia
serbo l’ombra serbo la malia:
mai tace il colloquio nascosto,
mai posa la voce segreta.

*

L’Anima e i prestigi

Ma l’anima confondono i prestigi:
intimidita abbassa la scriminitura
che parte le nere chiome, le palpebre ombrate;
nel cestello ripone la matassa,
gli aghi, il ditale, piega la fioritura
paziente sul bianco, nelle sere.
E la lontana dimora di nuovo l’accoglie:
serbano le scansie tenebrose
pallide ampolle, o, pendenti
in vimini dal soffitto,
e un poco oscillano quando
passa la tramontana; spirare
senti con l’erbe della solitudine, l’altura.
A la tarda ora solo guarda l’alto
abbaino la stella polare.

*

Mobile universo di folate
di raggi, d’ore senza colore, di perenni
transiti, di sfarzo
di nubi: un attimo ed ecco mutate
splendon le forme, ondeggian millenni.
E l’arco della porta bassa e il gradino liso
di troppi inverni, favola sono nell’improvviso
raggiare del sole di marzo.

*

Ombre

Le sognanti, lontane ombre che sono
dietro le tue parole questa notte,
fantastiche o dolenti le portava
la corrente dei giorni, il vento che apre
i colori, ed ognuna il suo segreto
di dolore o di gioia che il destino
segnò e il buio chiude;
e ancora altre ne chiami
che dileguando diedero un’impronta
di lume: la promessa d’un ritorno;
mani che schiusero i riposi,
occhi che riflettevano i meriggi
sotto i rami, le foglie della vite
che il raggio fa vivaci, oh le stormenti
stagioni attorno ai volti, l’ore
che scendevano a noi come in dolcezza
umana fatte miti da uno sguardo:
viva siepe, riparo che fa
sicure in cerchio notti, albe, tramonti,
e come pianamente
rispondevano ad ogni sole
che mai le avrebbe, mai sfiorate il rombo
del mistero; ma in fondo ad ogni svolta
è il dolore, la cenere che tocchi
si riga: brace e sangue.

*

Dove spore di sole
frangono spume in volo
s’aprono all’avventure
vibran spazi marini;
nube corriera allaccia
i promontori e balza
fuga leggera d’echi.
Ma dove già si ferma
l’ombra ne l’alta veglia
di fusti e di fogliame,
sapienza di sorgive
sospesa l’aria incanta.
E nell’alture (male
d’erbe la pietra invade)
già buio di cisterna
pensa colori e forme:
nei sonni scenderanno
reclini su l’ignoto.

*

Di soste viviamo; non turbi profondo
cercare, ma scorran le vene,
da quattro punti di mondo
la vita in figure mi viene.
Non fare che ancora mi colga
l’ebbrezza, ma lascia che l’ora si sciolga
in gocce di calma dolcezza;
e dove era il raggio feroce, ai muri vicini
che celano i passi ed i visi,
solleva una voce improvvisi giardini.

E il soffio è sereno che muove al traforo
dei rami i passaggi interrotti
e segna ai garofani d’oro
la trama delle mie notti.

*

(da Canti barocchi e Gioco a nascondere, Milano, Libri Scheiwiller, 2001)

Lucio Carlo Francesco Piccolo di Calanovella nasce a Palermo nel 1901. Di nobile famiglia, cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (con cui stringe un sodalizio sia umano che intellettuale), dopo il conseguimento della maturità classica frequenta per qualche tempo i salotti letterari, interessandosi anche di spiritismo. Nel 1932 si ritira con i suoi familiari a Villa Piccolo, l’antica residenza di famiglia sita a Capo d’Orlando: qui vive un’esistenza appartata raccogliendo attorno a sé un piccolo cenacolo culturale. I suoi molteplici interessi spaziano dalla poesia alla filosofia, dall’astronomia alla matematica, dai classici greci e latini all’esoterismo. E’ inoltre musicologo e traduttore. Muore a Capo d’Orlando nel 1969.

Lontana dalle influenze neorealiste e neoavanguardiste tipiche degli anni Cinquanta e Sessanta, la poesia di Lucio Piccolo appare improntata ad uno stile barocco denso di elencazioni e di immagini surreali; la musicalità del verso è ottenuta attraverso l’uso di termini aulici e di alcuni elementi originali, come le preposizioni articolate spezzate. Largo spazio è concesso al simbolismo e all’oscurità, con percepibili rimandi al crepuscolarismo. Grande assente dalla sua scrittura è il mondo siciliano, sia per quanto riguarda la lingua che in merito ai contenuti.

Tra le sue raccolte poetiche ricordiamo 9 liriche (1954), Canti barocchi e altre liriche (1956), Gioco a nascondere. Canti barocchi e altre liriche (1960), Plumelia, All’insegna del pesce d’oro (1967).

Donatella Pezzino

Immagine: Childe Hassam, “Il giardino acquatico” (1909).

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