Alda Merini / Caffè letterario

Quiètati erba dolce
che sali dalla terra,
non suonare la tenera armonia
delle cose viventi,
mordi la tua misura
perché il mio cuore è triste
non può dare armonia.

Quiètati erba verde
non salire sui fossi
col tuo canto di luce,
oh rimani sotterra
nuda dentro il tuo seme
com’io faccio e non do
erba di una parola.
*

Io ero un uccello
dal bianco ventre gentile,

qualcuno mi ha tagliato la gola
per riderci sopra,

non so.

Io ero un albatro grande
e volteggiavo sui mari.

Qualcuno ha fermato il mio viaggio,
senza nessuna carità di suono.
Ma anche distesa per terra
io canto ora per te

le mie canzoni d’amore.
*

Pensiero, io non ho più parole.
Ma cosa sei tu in sostanza?
qualcosa che lacrima a volte,
e a volte dà luce.
Pensiero, dove hai le radici?
Nella mia anima folle
o nel mio grembo distrutto?
Sei cosi ardito vorace,
consumi ogni distanza;
dimmi che io mi ritorca
come ha già fatto Orfeo
guardando la sua Euridice,
e cosi possa perderti
nell’antro della follia.
*

Ho acceso un falò
nelle mie notti di luna
per richiamare gli ospiti
come fanno le prostitute
ai bordi di certe strade,
ma nessuno si è fermato a guardare
e il mio falò si è spento.
*

Rivolta

Mi hai reso qualcosa d’ottuso,
una foresta pietrificata,
una che non può piangere
per le maternità disfatte.
Mi hai reso una foresta
dove serpeggiano serpi velenose
e la jena è in agguato,
perché io ero una ninfa
innamorata e gentile,
e avevo dei morbidi cuccioli.
Ma le mie unghie assetate
scavano nette la terra, così io Medusa
fissa ti guardo negli occhi.
Io esperta sognatrice
che anche adesso mi rifugio in un letto
ammantata di lutto
per non sentire più la carne.
*

Io ho scritto per te ardue sentenze,
ho scritto per te tutto il mio declino;
ora mi anniento, e niente può salvare
la mia voce devota; solo un canto
può trasparirmi adesso dalla pelle
ed è un canto d’amore che matura
questa mia eternità senza confini.
*

Vicino al Giordano

Ore perdute invano
nei giardini del manicomio,
su e giù per quelle barriere
inferocite dai fiori,
persi tutti in un sogno
di realtà che fuggiva
buttata dietro le nostre spalle
da non so quale chimera.
E dopo un incontro
qualche malato sorride
alle false feste.
Tempo perduto in vorticosi pensieri,
assiepati dietro le sbarre
come rondini nude.
Allora abbiamo ascoltato sermoni,
abbiamo moltiplicato i pesci,
laggiù vicino al Giordano,
ma il Cristo non c’era:
dal mondo ci aveva divelti
come erbaccia obbrobriosa.
*

La pelle nuda fremente,
che di notte raccoglie i sogni,
la tua pelle nuda e fremente,
che vive senza emozioni
paga soltanto del mondo,
che la circonda indifeso,
la tua pelle non è profonda,
resta soltanto una resa:
una resa a un corpo malato
che nella notte sprofonda,
un grido tuo disperato,
a quello che ti circonda.
La tua pelle che fa silenzio,
e lievita piano l’ora,
la tua pelle di dolce assenzio
forse può darti l’aurora,
l’aurora tetra e gentile
di un primo canto di aprile.

*

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da argenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d’oro
e l’albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l’assenzio
di una sopravvivenza negata.

(da La Terra Santa, Scheiwiller, Milano, 1984).

Alda Merini nasce a Milano nel 1931. Sensibile, anticonformista, profondamente religiosa, rivela fin da bambina un grande talento per le lettere e per le arti. Esordisce come autrice appena quindicenne: fin da allora, la sua scrittura attira l’apprezzamento di nomi prestigiosi del panorama culturale come Giacinto Spagnoletti, Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani. Nel 1947 viene internata per un mese nella clinica Villa Turro a Milano, dove le viene diagnosticato un disturbo bipolare: a questo primo ricovero ne seguiranno altri dopo la nascita dei figli. Questi alterni periodi di salute e malattia, normalità e isolamento, avranno molta eco nelle sue composizioni, quale manifestazione di un profondo tormento esistenziale. Altro importante elemento della sua poetica è la fusione mistica tra la sfera carnale e quella spirituale: questo tratto, caratteristico del suo personale modo di sentire e di vivere, diventa la chiave del rapporto con Dio, nello sforzo di annullare le distanze fra cielo e terra (evidente soprattutto nella raccolta Magnificat, un incontro con Maria, del 2002). Muore a Milano nel 2009 per un tumore osseo. Tra le sue opere poetiche più note si ricordano La presenza di Orfeo (1953), La terra santa (1984), Delirio amoroso (1989), La pazza della porta accanto (1995), Ballate non pagate (1995), La volpe e il sipario (1997), La carne degli angeli (2007).

Donatella Pezzino

Immagine: Frida Kahlo, il cervo ferito, 1946

 

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